Presentato fuori concorso alla 63ma Mostra Internazionale d'arte Cinematografica di Venezia nella sezione Mezzanotte, The City of violence di Ryoo Seung-wan, è un frullato di generi e stili.

È un gangster movie che riecheggia Il Padrino (per quanto meno corale).

È un noir metropolitano con al centro un poliziotto in trasferta (da Seoul a una città di provincia) che appresa la morte di un suo amico d’infanzia (un ex boss ritiratosi dagli affari sporchi…), decide di scoprire i colpevoli (aiutato da altri due amici di infanzia).

Al contempo è un kung-fu movie (anche se rimane da accertare che le tecniche usate siano riconducibili al kung-fu), con botte da orbi e nemmeno una pistola (un gongfupian quindi…).

Infine è anche un melodramma imperniato sul tempo che col suo scorrere cambia l’anima, stravolge le antiche amicizie, corrode le promesse fatte, cancella i buoni propositi, spandendo tutt’attorno morte e lasciando che a chiudere il cerchio sia una sola parola: “merda (che dice e non dice…).

Troppi generi e quindi in definitiva nessun genere, o piuttosto un film rutilante che mira a essere uno di quelli bigger than life?

 

Un po’ e un po’, e allora sarà per questa indecisione che The city of violence nel suo dare tutto quello che può, nel suo avanzare a tratti un po’ sbruffone, nel suo fare dell’iperbole la sua parola d’ordine (vedi i combattimenti, uno, al massimo due contro cento avversari come minimo…), finisce col rimanere un po’ sospeso, a metà strada tra il dimenticabile e il non…