Phineas Poe è tornato. Lo sbirro più allucinato e triste d'America è di nuovo fra noi. Lo avevamo conosciuto in Baciami, Giuda, avventura in cui il nostro aveva sperimentato droga, amore disperato e l'asportazione di un rene.
Il personaggio di Will Cristopher Baer ritorna a Denver dopo tanto, sofferto, peregrinare e si ritrova invischiato suo malgrado in una brutta storia: un gioco di ruolo, Il gioco delle lingue, che perde il controllo e sconfina nella realtà, liberando tutta una serie di identità parallele, prima ingabbiate dietro le sbarre del tramonto.
Non c'è solo Poe, gli altri personaggi sono tanti. Basta fare una semplice moltiplicazione e l'allucinazione schizoide è bella e pronta.
Il giorno non è più giorno, la notte non è notte, la notte forse è giorno e Phines non è più lui. I morti non muoiono veramente e i vivi spesso non sanno di essere tali.
La prosa di Baer è rimasta elegante ma, mentre nel precedente romanzo aveva un che di lisergico, in questo rallenta forse un po', fatto che potrebbe scoraggiare i lettori che amano essere "rapiti".
Sempre su buoni livelli ma inferiori rispetto a Baciami, Giuda, Il gioco delle lingue rimane per adesso di "passaggio". Manca un romanzo, Hell's Half Acre, alla chiusura della trilogia di Phineas Poe. Magari il Gioco inserito nel quadro di insieme ci divertirà di più.
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