Mare nero di Roberta Torre, come dire il tentativo di impiegare uno schema thriller a sfondo erotico (chi ha ucciso la giovane Valentina in modo così brutale e perché la ragazza era dedita a pratiche sessuali masochistiche?) ma senza crederci fino in fondo, oppure credendoci ma senza darlo troppo a vedere. Infatti: manca un’indagine vera e propria e l’assassino (un perfetto sconosciuto all’interno della trama che non lo mostra mai, a un tratto decide di confessare, punto e basta…).
L’eleganza formale della confezione è ineccepibile, Anna Mouglalis (già vista in Romanzo criminale) pare la nuova Jean Moreau, mentre latitano alla grande i dialoghi e qualche informazione capace di giustificare lo spleen che accompagna l’ispettore che indaga (Lo Cascio). Ci si ritrova così di fronte un personaggio già di suo torvo e allucinato che quando per via dell’indagine si trova a rovistare nel mondo degli scambisti, anziché divertirsi (ammesso e non concesso che ci si diverta…), diventa ancora più torvo e allucinato, finendo nella scena clou (un marito gli concede la moglie…) con l’identificarsi con l’assassino stesso (comunque già in gattabuia…).
A tirare le somme rimane una discesa agli inferi (alcuni vi hanno visto dei rimandi sia al Cruising di Friedkin che all’Eyes Wide Shut di Kubrick) giocata sul contrasto tra qualcosa che scende (l’ispettore) e qualcosa che sale (il ripescaggio in quel di Mazara del Vallo del Satiro danzante nel momento dell’estasi, scena che apre il film…), discesa molto all’acqua di rose perché manca del tutto la capacità di disegnare un vero e proprio mondo altro rispetto a quello quotidiano.
Magari si tratta di un apologo sull’eros oramai bello che finito, travolto, che so, dai reality show.
Presentato in concorso al 59mo Festival Internazionale del film di Locarno (2006).
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