OK, Andrea, parliamoci chiaro: i documenti relativi al dossier "SFL - Segretissimo Foreign Legion" sono stati declassificati, le coperture sono saltate. Prima che si diffondano false notizie, vuoi raccontarci tu com'è avvenuto il tuo reclutamento nel Team?
Nel 2001 proposi a Segretissimo una serie di romanzi con protagonista una donna, un ciclo che si collega in realtà a un mio progetto per una grande saga spionistica a cui stavo pensando da un decennio. Collaboravo da tempo con i periodici Mondadori, soprattutto con Il Giallo: avevo pubblicato le storie del Cacciatore di libri e di Carlo Medina, avevo curato Inverno Giallo 1996 e Il racconto in appendice al giallo settimanale dell’inverno 1995-96, e da tempo traducevo per Segretissimo gli episodi della serie James Bond 007 (di John Gardner prima e di Raymond Benson poi). L’ipotesi su cui si basava la serie Nightshade: gli USA riaprono la “sezione omicidi” della CIA, chiusa durante la presidenza Reagan, e la mia protagonista viene arruolata come killer. Il primo romanzo era in piena lavorazione l’11 settembre 2001 e lo vissi da un punto di vista “americano”, quello di Jeffery Deaver, che avevo invitato in Italia per un incontro coi lettori. Dapprima mi sentii superato dai fatti. Poi mi resi conto che, in quel momento più che mai, la mia ipotesi corrispondeva a realtà. Dopo il dramma delle Twin Towers, effettivamente gli USA riaprirono la “sezione omicidi” della CIA. A volte detesto avere ragione.
Quanto ti sei divertito a creare il tuo alias? Come narratore, Torrent si differenzia in qualche modo da Cappi?
Il mio alias mi è così simpatico che ne ho fatto un personaggio: oltre ad avere una sua biografia fittizia (ma non troppo, perché in vari punti coincide con la mia), François “Paco” Torrent è uno dei fiancheggiatori della mia eroina e non escludo che prima o poi abbia una storia da protagonista egli stesso. Divertentissima è stata la presentazione del primo romanzo, all’Admiral Hotel di Milano (sede del fan club bondiano “007 Admiral Club” e riferimento italiano di numerosi autori internazionali): in una serata con esibizioni di flamenco e arti marziali con la partecipazione di ospiti illustri del thriller italiano, ho interpretato prima il ruolo di me stesso e poi, cambiandomi rapidamente d’abito e di look fuori scena, quello di Torrent. Dopo quella sera, Lia Volpatti ipotizzò che in realtà il vero scrittore fosse Torrent e Cappi fosse solo lo pseudonimo. In effetti, ci sono più differenze tra le serie dedicate al Cacciatore o a Medina e alcuni miei racconti senza personaggio fisso (per esempio la serie dei Carmina Burana), di quante ce ne siano tra i romanzi firmati Torrent e quelli firmati Cappi. Già nel terzo episodio Nightshade, del resto, appare Nabila, uno dei personaggi collaterali della serie di Carlo Medina. Lo stesso Medina potrebbe fare un’apparizione al fianco di Nightshade, molto presto…
Vuoi parlarci della protagonista della tua serie per Segretissimo, Nightshade, giunta al suo terzo capitolo con il recente Obiettivo Sickrose?
Mercedes “Mercy” Contreras alias “Nightshade” incarna molte delle mie tematiche abituali. È un’eroina dal passato tormentato, con un padre scomodo legato a suo tempo alla CIA e ora leader di un gruppo di potere che mira a imporre un regime di estrema destra su tutta l’America Latina, con la connivenza di un oscuro ma potente burattinaio statunitense. Nata in Spagna e cresciuta su un’isoletta al largo dell’Honduras, Mercy è stata addestrata fin da bambina dallo staff di suo padre, che comprendeva un “guro” del “kali escrima” filippino ed esperti di guerriglia. Da grande, Mercy ha rinnegato le posizioni del padre, ma per la sua abilità è stata reclutata dalla CIA. Nightshade, pur fedele alla sezione della CIA per cui lavora (nella quale tutti hanno nomi in codice ispirati a personaggi più o meno famosi dei fumetti), mantiene tuttavia una certa indipendenza, che le permette di disobbedire agli ordini quando vanno contro la sua coscienza etica. Spesso i suoi superiori le sono grati di questo, ma qualcuno a Washington non gradisce… Per non parlare di suo padre, che nel terzo romanzo ha finalmente appreso che la sua più temibile avversaria altri non è che la sua stessa figlia.
Il personaggio seriale: come affrontarlo? E ancora: opportunità e pericoli di questa scelta.
Il personaggio seriale ha un vantaggio enorme: la possibilità di farlo vivere e crescere di romanzo in romanzo. Il pericolo, che per quanto mi riguarda cerco di evitare, è quello di farne un manichino ripetitivo (quando va male) o un’icona (quando va bene). In un caso e nell’altro, il personaggio è intrappolato da ciò che il pubblico si aspetta. Come 007 o SAS, che non riescono mai a invecchiare. Per Nightshade, invece il tempo passa, seppur lentamente, e continuerà a farlo fintanto che il pubblico vorrà seguirla. Questo dà la possibilità di sviluppare una storia personale su un respiro molto più lungo di quello di un singolo romanzo. Un altro inconveniente è che il lettore di una serie già si aspetta che l’eroina non può morire alla fine di un romanzo, altrimenti finirebbe la saga, e questo può limitare almeno in parte la suspense. D’altra parte, la regola vale anche per gli avversari: quando ho concepito Sickrose, la sua nemica nel terzo romanzo, pensavo che sarebbe morta, alla fine. Non è stato così: Sickrose, pur essendo un personaggio negativo, è nata come antitesi di Nightshade, con pari abilità e maggiore crudeltà, il che le ha permesso di sopravvivere a questo episodio e, posso già dire, anche al prossimo.
Ora conosciamo meglio François "Paco" Torrent. Passiamo ad Andrea Carlo Cappi, sul quale c'è molto da dire. Mi fingo indolente e maleducato ;-) e ti costringo a presentarti da solo, magari con una "improvvisazione d'autore"...
Questo titolo non mi è nuovo… Improvvisazioni d’autore è uno dei miei marchi di fabbrica: il titolo di un mio saggio sulla scrittura e di numerose serate-spettacolo che faccio da anni in giro per l’Italia, improvvisando racconti noir dal vivo, con la complicità del pubblico. Ogni volta è come scendere nell’arena, perché si hanno a disposizione una decina di minuti per improvvisare un racconto sulla base di frasi suggerite dagli spettatori. Ma il metodo riflette il mio modo di lavorare abituale: adrenalina e tensione creativa. Alcuni romanzi (e talvolta qualche racconto) mi possono richiedere mesi o anni di documentazione e preparazione, ma il confronto con la pagina, con “quello che succede” di capitolo in capitolo, è affrontato come lo affrontano i miei protagonisti. Quando un personaggio si trova in una situazione di pericolo, io non so a priori come ne uscirà, lo scopro nel momento in cui lo scrivo, per cui ne condivido la sofferenza e la sensazione di pericolo. Certo, loro rischiano la vita, io rischio solo la reputazione. Ma finora nessuno è rimasto deluso. D’altra parte, non potrei procurare sorprese ai miei lettori se prima non sorprendessi me stesso. Per il resto, posso dire che scrivo perché sento la necessità irrinunciabile di raccontare storie. Quando smetto di farlo causa altri impegni di lavoro, è come se mi si negasse il sonno REM.
Hai scritto un romanzo con protagonista Diabolik (La lunga notte, Sonzogno) e uno con Martin Mystère (L'occhio sinistro di Rama, Sonzogno). Quanto è intrigante e quanto difficile lavorare su personaggi famosi, e di spessore, ideati da altri autori? E quanto portarli da fumetto a narrativa senza deludere i fans più agguerriti?
Affrontare personaggi consolidati è effettivamente una sfida. Con Martin Mystère ero avvantaggiato: i lettori mi conoscevano già come co-sceneggiatore occasionale della serie a fumetti (insieme ad Andrea Pasini e con gli splendidi disegni di Lucia Arduini), ruolo che mi aveva permesso di conquistare la fiducia del creatore del personaggio, Alfredo Castelli. Con la complicità di questi avevo scritto altre avventure non a fumetti di Martin: un racconto, due romanzi brevi (compreso un team-up con il Cacciatore di libri) e, nel 2000, un feuilleton via internet (su il nuovo.it), intitolato Il Codice dell’Apocalisse, in cui si parlava dei Templari e di Leonardo da Vinci molto prima che ci pensasse Dan Brown. Con Diabolik la sfida è stata ancora maggiore: ho dovuto dimostrare la validità della mia interpetazione del personaggio prima a Mario Gomboli, attuale curatore della serie e autentico erede dello spirito delle Sorelle Giussani, creatrici del personaggio. E poi ho dovuto convincere certi lettori irriducibili che mi avrebbero lanciato pugnali e aghi al cianuro (cito testualmente una frase dalla mailing list dei fan!) se avessi tradito lo spirito e la continuity della serie. Con entrambi i personaggi non ho fatto altro che lavorare “da scrittore”: non disponevo delle immagini, ma avevo più spazio per l’introspezione psicologica. Ne sono venuti fuori un Martin Mystère avventuroso, simpatico e coraggioso, con i pregi e i difetti delineati in vent’anni di storie e a fumetti, e un Diabolik freddo ma problematico, con una dimensione psicologica che è sempre stata presente nei fumetti originali ma che meritava un ulteriore approfondimento in questa occasione. Secondo molte opinioni, La lunga notte è uno dei libri più belli che io abbia mai scritto.
Hai tradotto vari titoli interessanti. Vuoi citarne alcuni, tra quelli che più hai amato?
Da qualche tempo a questa parte, ho il raro privilegio di scegliere io stesso di quali autori essere la voce italiana, dallo spagnolo e dall’inglese. Ho amato molte delle avventure di 007 che ho tradotto, ma anche l’umanità di Stuart M. Kaminsky, la suspense insostenibile di Preston & Child, lo spirito mediterraneo di Pedro Casals, le geniali costruzioni di Richard Stark, il gusto per l’avventura colta di Matilde Asensi… Tra i libri che mi hanno richiesto grande partecipazione cito anche L’uomo dalle formiche in bocca di Miguel Barroso e Le ore del male di Raymond Benson.
L'esperienza di M - Rivista del mistero e Alacrán Edizioni.
Quanto tempo abbiamo? Per cercare di abbreviare la storia, nel 2000 ho fondato presso Edizioni Addictions, insieme ad Andrea G. Pinketts, un “mystery magazine” concettualmente molto vicino allo spirito del vecchio Giallo Mondadori, proseguendo in parte il lavoro cominciato collaborando alle preesistenti G - La rivista del giallo (1995-1999) e Delitti & Misteri (1995-1996). Su M - Rivista del mistero ho pubblicato inediti di Arthur Conan Doyle, Ian Fleming, Michael Connelly, Jeffery Deaver e molti altri autori, insieme a lunghe intervista con gli stessi Connelly e Deaver, ma anche Ed Mcbain, James Patterson, Claudia Salvatori… Parallelamente curavo per lo stesso editore la collana I misteri di Addictions e per Sonzogno I bestseller del crimine. Ora tutte queste esperienze sono approdate ad Alacrán Edizioni (www.alacranedizioni.it), la casa editrice fondata da Sandro Ossola e da me, che dall’ottobre 2004 ha ripreso la pubblicazione della rivista e a fine marzo 2005 inaugura tre collane: una di mystery, una di narrativa (non solo di genere) e una di saggistica che guarda con attenzione al genere. Alla base di tutto ci sono il caro vecchio Giallo Mondadori di una volta e lo spirito che lo animava.
Cos'è, per te, un thriller?
Come lettore, un veicolo di intrattenimento e di emozione, sia esso enigmistico, avventuroso o più viscerale. Come scrittore, un modo di realizzare, sì, intrattenimento ed emozione, ma anche di raccontare e all’occorrenza denunciare ciò che non va nella società o nel mondo. E in questo mi sento più vicino ad autori spagnoli o latinoamericani. Ed è il motivo per cui, anche quando ho lavorato su personaggi altrui come Martin Mystère o Diabolik, ho sempre scritto romanzi riconoscibili come “miei” e carichi di elementi personali. Voglio che il lettore si diverta… ma che non smetta di pensare.
I tuoi titoli preferiti nel thriller e affini?
D'importazione e nostrani. Amo moltissimi autori e moltissimi libri. Mi sono accorto che uno di quelli che cito più spesso è Come la vita di Paco Ignacio Taibo II. Quando devo consigliare letture di base a giovani lettori o aspiranti scrittori, raccomando due romanzi in particolare, Dieci piccoli indiani di Agatha Christie e Piombo e sangue di Dashiell Hammett: il primo insegna a dubitare di tutto quello che ci viene raccontato, il secondo ci mostra il lato noir della realtà.
La maggior parte dei thriller tradotti in Italia è anglosassone. Non di meno, la presenza francese (non solo noir) è sempre cospicua, quella spagnola e neo-latina si è imposta da anni (mi sa però che da noi arriva solo la punta dell'iceberg), quella di altre nazioni si sta affermando, varietà di cui non possiamo che essere soddisfatti. Citando solo i più significativi, quali sono i fattori che trovi "sorprendentemente accomunanti" e quelli "inaspettatamente distinguenti" tra opere di pari genere ma originate in differenti bacini geografico-culturali? Oppure ritieni che le personalità dei singoli autori e le leggi di mercato (da cui l'editoria non scappa) siano preminenti in modo ormai assoluto?
Posso parlare per conoscenza diretta della Spagna, come lettore e traduttore: abbiamo ancora qualcosa da imparare dai numerosi autori di quell’area (Martin, Madrid, Casals, oltre a Vázquez Montalbán naturalmente) in cui il valore letterario molto spesso compete con quello di denuncia. Il noir ha anche il dovere di informare, di là dalla cronaca, su quello che ci accade intorno. Senza perdere il gusto della narrazione e quindi dell’emozione e, perché no, dell’intrattenimento del lettore. Nulla come una buona storia può permettere al lettore di entrare all’interno di un mondo e capirlo. In molto noir anglosassone e americano prevale ancora l’intenzione, nobilissima, dell’intrattenimento, anche se il vero autore, come sempre, si riconosce dalle connotazioni di umanità che conferisce ai personaggi.
Ritorniamo alla spy story. Come vedi la situazione dello spionaggio (canonico, contaminato o contaminante) di produzione italiana?
Uno sguardo al presente, una previsione per il futuro. La spy story è, nel thriller, un territorio che continua a espandersi. La fine della Guerra Fredda, anziché farle chiudere i battenti, ha permesso la rimozione delle basi banalmente ideologiche… almeno in Europa. Negli USA prevale lo spionaggio con gli arabi malvagi, così come prima dominava quello con i russi malvagi. Fu in realtà Fleming il primo a dire che i russi non dovevano essere necessariamente cattivi e a creare il primo “villain” globale, Blofeld capo della SPECTRE. La spy story europea ha la possibilità di raffinare questo concetto e adattarlo ai tempi, seguendo la lezione di John Le Carré, che di queste cose se ne intende. Noi italiani, come disse un giornalista britannico a proposito delle teorie di complotto su Lady Diana, vediamo cospirazioni dappertutto. Be’, allora abbiamo ottime possibilità di indovinare.
Speranza di esportare in modo significativo la nostra spy-story, quantomeno in Europa?
Poche, visto che il mercato è dominato da ciò che proviene dai paesi di lingue inglese e talvolta, per fortuna, dalla produzione locale. Molte, se e quando qualcuno scoprirà cosa stiamo scrivendo, da anni!
Cosa stai leggendo e, soprattutto, cosa stai scrivendo?
Dopo anni di letture anglosassoni per conto di una grossa casa editrice (con una minima percentuale di cose pubblicabili) sto finalmente ricominciando a leggere italiani promettenti. Ho appena scoperto, e non per merito mio, un giovanissimo autore di racconti che sarebbe limitante definire “pulp”. Quanto allo scrivere… ho appena finito un racconto sul fascismo per un’antologia di noir che Sonzogno pubblicherà per il LX anniversario del 25 aprile e sto preparando nuovi episodi per Nightshade…
Ti saluto e ti ringrazio. Lascio a te l'onere e l'opportunità di chiudere l'intervista. Questa missione è sostanzialmente conclusa. Hai l'ultima cartuccia prima di ripiegare. Usala, se lo ritieni opportuno.
Woody Allen diceva che tutti noi possiamo essere Bogart senza cercare banalmente di imitarlo. A noi italiani il noir e l’intrigo scorrono nel sangue: è venuta l’ora di macchiare il tappeto.
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