Ore 20, 30

Le note dell’inno di Mameli si librarono leggere nell’aria calda della sera. Gli eroi del mundial di Spagna si apprestavano a entrare sul terreno di gioco del monumentale stadio Santiago Bernabeu di Madrid, inconsapevoli che le loro gesta sportive avrebbero decretato la vita o la morte di un ragazzino di soli undici anni.

Laggiù nel buco, Paolino poteva sentire l’inconfondibile voce di Nando Martellini provenire da lassù, dal regno della merda, mentre Bruno il matto sedeva davanti alla televisione succhiando avidamente un ghiacciolo al limone.

Pronti… partiti! Ha inizio la finale del campionato del mondo!

La partita procedeva tra alti e bassi. A ogni sussulto del pubblico Paolino era attraversato da brividi di terrore. Quando l’arbitro decretò il calcio di rigore a favore dell’Italia, Paolino si inginocchiò a terra, pregando.

Parte Cabrini… rincorsa e… fuori! Fuori!

Paolino urlò dalla gioia. Era buffo che proprio lui - in quella sera - fosse l’unico Italiano a tifare Germania. Lui, che durante le partitelle organizzate al campetto della parrocchia, voleva sempre impersonare il suo grande idolo: Paolo Rossi. Certo, quando non era costretto a indossare i guanti da portiere… e questo accadeva almeno cinque volte su sei.

Bruno comparve all’improvviso sull’orlo del pozzo. – Tu devi stare zitto! – borbottò con estrema calma, scagliando nel buco un proiettile di pietra.

– Fammi uscire! Fammi Uscire! – strillò inutilmente Paolino.

Bruno scomparve e Paolino rimase lì con gli occhi colmi di lacrime e il moccio che gli scendeva lento sulla bocca.

Perché il mio corpo non produce l’acido che ti riporta a casa? Perché non sono una formica?

Il primo tempo era terminato con un nulla di fatto: zero a zero.

Ci sono ancora speranze che io possa tornare da mamma e papà!, si disse Paolino. La mamma piange, mentre papà mi sta cercando. Stasera papà non guarda la partita, lui è in giro con i poliziotti a cercarmi e quando mi troverà, quando vedrà cosa mi ha fatto Bruno il matto, be’… quello stronzo avrà ciò che si merita!

Noi formiche ce ne andiamo, ma domani al sorgere del sole torneremo. Lo faremo tutte assieme e al tramonto tutte assieme ce ne andremo. Noi formiche siamo creature oneste e leali. I tuoi amici non lo sono stati! Perché non ti hanno aspettato? Loro sono furbi, veloci e molto cattivi. E pensare che li ritenevi grandi amici. Non eri forse tu che portavi sempre il pallone al campetto? Non eri tu che giocavi in porta, quando nessuno di loro ci voleva giocare? E questo succedeva cinque volte su sei! Tu sei un ragazzino buono, la mamma ti ha insegnato a esserlo! Gaspare Zanna e Pezza, i soli amici che avevi, non ti hanno aspettato. Per colpa loro tu morirai qui, lontano da casa in un buco nella terra.

Quando le urla assordanti del pubblico invasero l’aria rafferma della notte estiva, Paolino si mise a piangere. Paolo Rossi, in quel preciso istante, aveva posto la firma, del tutto involontaria, su una condanna a morte. D’accordo, mancavano ancora tanti minuti al termine e il tempo per rimediare non mancava, ma Paolino aveva paura, tanta paura e poi, come gli diceva sempre il papà, l’Italia era superiore alla Germania.

Paolino guardò il cielo stellato che attraversava l’orlo del pozzo e di colpo vide due piccoli occhi luminosi intenti a osservarlo. Era uno degli innumerevoli gatti di Bruno. Paolino odiava i gatti del matto. Forse, perchè li riteneva complici del Bruno.

Marco Tardelli urlava a squarciagola vanamente rincorso dai compagni. Nessuno di loro sembrava essere in grado di fermarlo. La sua gioia era quella di un’intera nazione.

Italia-Germania: due a zero! Palla al centro…

Paolino sentì le urla della folla, amplificate dal vecchio Mivar di Bruno. Già, perché il bastardo un nuovo televisore non se lo era mai comprato. Ora le sue grida si mescolavano con il lento e ipnotico canto di grilli e cicale. Paolino si coprì le orecchie con le mani nel vano tentativo di isolare quello che era diventato un feroce mondo esterno. Mai, come in quel momento, Paolino desiderava tramutarsi in una formica così da poter risalire le pareti del pozzo e fuggire via, lontano da un regno che, col passare delle ore, si riempiva di merda.