Io tutte queste cose mica le sapevo. A me tra l’altro i gatti non sono mai piaciuti. “Portano male!”, diceva mia madre. E io intorno non ne ho mai voluti. Conobbi Dalia alla festa della guardia pioneril organizzata dal Comitato di difesa della Rivoluzione, quando le donne di Luyanó erano in strada a preparare la caldosa, un minestrone tradizionale che riunisce tutte le famiglie. A noi non è che importasse molto della difesa della Rivoluzione, però la festa dei bambini che giocavano a fare la guardia al quartiere era un modo come un altro per mangiare tutti insieme e per ballare. Le donne cucinavano quel minestrone saporito in un grande pentolone pieno d’acqua, dove mettevano testa e zampe di maiale, yuca, boniato, malanga, banane, cipolla, aglio, quimbombó e patate. I bambini perlustravano il quartiere accompagnati dai loro genitori e dagli addetti del comitato, ma più che altro suonavano campanelli e giocavano: quella di fare la guardia era solo una finzione. Dalia mi piacque subito con i suoi occhi scuri e penetranti, i lunghi capelli crespi, il colore della pelle ambrato che rifletteva la luce lunare. Lei cucinava la caldosa e ballava a ritmo di merengue, muovendo fianchi abbondanti che facevano sognare e sorridendo maliziosa come per sfidare a imitarla. Raccolsi la sfida e mi gettai nella pista improvvisata davanti al pentolone dando vita a un movimento ondulatorio attorno al suo corpo. Lei mi sorrise. Io la feci volteggiare tra le mie mani di esperto ballerino. Non la lasciai sola per tutta la sera e passai da una merengue a una salsa, ballai persino il son tradizionale, quello che piace tanto ai vecchi del barrio. Ballammo e bevemmo diversi bicchieri di rum: lei lo preferiva mescolato con coca, io puro, come sempre. La coca non è roba da uomini e quando bevo rum voglio sentire il fuoco che scorre nelle vene, mica roba dolciastra. Eravamo tutti e due piuttosto allegri quando alla fine della festa decidemmo di andare a casa sua.

“Sono anni che per queste scale non sale un uomo”, disse.

“Allora è la mia serata fortunata”, risposi

“Mettiamola così”, sorrise.

La casa di Dalia era un piccolo solar di due stanze con cucina e camera comunicanti, stretta anche per una persona sola, e poi pareva ancora più piccola per via della grande confusione che regnava all’interno. La pila della cucina traboccava di piatti da lavare e il letto ancora disfatto aveva una sola coperta lisa e scucita gettata sopra alla rinfusa, in mezzo a vestiti e magliette lasciati cadere dove capitava. Come se non bastasse in quelle stanze c’era un odore penetrante che proveniva da un gatto nero che ci accolse miagolando a più non posso. Pareva nervoso e affamato, forse non era abituato a restare molto tempo da solo e adesso pretendeva la sua razione di cibo.

“Ora mi occupo di te”, disse Dalia.

Prese un cartoccio con un po’ di avanzi che aveva portato dalla festa e lo versò nella ciotola del gatto che custodiva in cucina proprio sotto alla pila. Sistemato il gatto, che adesso pareva più tranquillo, mi prese per mano, mi portò in camera e mi fece sdraiare sul letto dove cominciò a spogliarmi lentamente. Io ero un po’ ubriaco, il rum stava facendo effetto, mi abbandonai a lei e la lasciai fare, mi piaceva che prendesse l’iniziativa, che lavorasse con la lingua le parti più intime del mio corpo sino ad arrivare al sesso che sentivo diventare sempre più duro. Dalia ci sapeva fare. La nostra prima notte d’amore fu bellissima e ogni volta che ci penso la ricordo con nostalgia. Non finivamo mai di accarezzarci e di stringerci forte come un corpo solo che si abbandonava al gioco dei sensi. Ci addormentammo sfiniti che era quasi l’alba, ma il riposo non durò a lungo. Ricordo ancora con terrore il mio improvviso risveglio e gli occhi di quel maledetto gatto fissi dentro i miei. Sussultai dalla paura e mi alzai di scatto dal letto.

“Fa sempre così. È il suo modo per darmi il buongiorno”, disse Dalia.

“Chiamalo buongiorno. A me è parso di vedere una strega”, risposi.

“Non crederai alle sciocche superstizioni sui gatti neri?”

Ci credevo sì. Ma dopo una notte d’amore come quella mica potevo dire la verità…