Abbiamo già fatto la conoscenza con Gerhard Selb, investigatore privato di Mannheim, protagonista di una trilogia dell’autore tedesco Bernhard Schlink.
Questa, con tutta probabilità, rischia di essere la sua ultima avventura e, come nel precedente L’inganno di Selb, il nostro anziano e un po’ malandato private-eye teutonico si trova ad essere ingaggiato per un compito che risulta alla fine solo un pretesto per scavare nella realtà socio-politica tedesca all’indomani della caduta del Muro di Berlino.
Fuori posto dovunque si trovi (è significativo che in una sua trasferta a Berlino venga, in rapida successione, buttato in un canale prima dai naziskin perché non abbastanza nazista e poi da extraparlamentari di sinistra appunto perché ex nazista), anche la cerchia delle sue amicizie sta subendo il logorio del tempo.
Il commissario capo Nägelsbach è andato in pensione e il chirurgo Philipp sembra aver messo la testa a posto con la sua ultima fiamma, un’infermiera turca, e sta per abbandonare l’ospedale pubblico per una remunerativa sinecura in una clinica privata. (sempre a caccia di donne nonostante abbia raggiunto le sessanta primavere); la sua Brigitte gli sta vicino e lui si accorge del tempo che ha inutilmente trascorso accanto a lei senza legarla a sé e teme che sia troppo tardi: tutta la vicenda infatti scorre sotto la spada di Damocle dei due infarti che Selb subisce a inizio e a fine vicenda e che fanno appunto ritenere ormai terminata la sua avventura letteraria.
Eppure il vecchio leone ruggisce ancora e da un ambiguo e apparentemente semplice incarico ricevuto dal banchiere Welker (ritrovare un socio occulto della ditta di famiglia che in tempi lontani l’ha salvata dal disastro finanziario) comincia pian piano a scavare, poco convinto di ciò che gli si chiede.
E pian pian viene fuori l’articolata e tempestosa circolazione di denaro che ha fatto capo alla rispettabile banca Weller & Welker di Schwetzingen: piccola barca nell’oceano capitalista delle grandi concentrazioni, ha fatto fronte ai dissesti del Novecento usufruendo, appunto, del socio occulto poi costretto a sparire a causa delle leggi razziali; la banca da un lato non si è dimenticata dei suoi successori, dall’altra però, pur di mantenere il poetere acquisito, non ha esitato a emarginare l’unico erede, ad accettare il riciclaggio di denaro sporco proveniente dall’Est, a investire in una fatiscente Banca dell’ex DDR per meglio coprire il transito proibito.
Quel che prende del libro è la malinconia con cui Selb osserva un mondo che non gli è più consono, in cui non si possiedono neppure più le certezze della guerra fredda, dove nessuno è ciò che appare, dove il mafioso forse è più onesto del rispettabile banchiere, dove anche uomini legati da una profonda amicizia, e rischiando grosso (Nägelsbach la pensione e Philipp il ricco contratto con la clinica), possono far poco per far progredire il bene in un mondo che ha perso le coordinate non solo politiche ma anche morali.
Ecco perché si insinua ad un certo punto nell’animo di Selb la tentazione della giustizia privata, sommaria, di cui lampeggia un fosco precedente sepolto nel suo passato. Ma neppure questo gli è possibile: la sua definitiva sconfitta (o salvezza) è il secondo infarto che lo conduce alla verità, ma così indebolito che sembra rappresentare tutti noi di fronte alle amarezze di quel che le rivoluzioni e le guerre (calde o fredde) ci hanno riservato.
Certo che spontaneo nel cuore di ogni lettore sorge il desiderio che Selb continui a combattere con noi in uno, due, cinque prossimi romanzi: ma forse l’autore (che crediamo di aver sorpreso in un suo toccante momento autobiografico nella descrizione dell’attacco di cuore a Selb) ha deciso altrimenti.
Peccato. Selb rimarrà nel nostro cuore a lungo
Voto: 8,5
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