Sicuramente uno dei film più affascinanti di David Cronenberg, vergognosamente assente dal mercato dei dvd in Italia, Il Pasto Nudo è il personale adattamento che il regista girò nel 1991 basandosi sul “romanzo” di William Burroughs, scritto letteralmente sotto l’effetto di droghe varie fra Tangeri e New York. Ma mentre il libro è costituito da una serie di frammenti, spesso incoerenti, legati fra loro dalla famigerata tecnica stilistica del cut–up (di cui Burroughs fu l’indiscusso maestro nonché iniziatore), Cronenberg trasforma la materia affascinante, ma pur sempre caotica, della creatura di Burroughs in un universo compatto sia dal punto di vista narrativo che da quello cinematografico, innestandovi naturalmente alcune delle consuete tematiche tipiche del mondo Croneberg, da sempre dedito a riflessioni personalissime e acute sul corpo e sull’identità come involucri in continua mutazione.
La storia di per sé non sembra poi così difficile da riassumere: lo scrittore–sterminatore di scarafaggi William Lee (Peter Weller), dedito a uso di varie sostanze tossiche, fra cui la stessa polvere con cui dovrebbe uccidere gli insetti, divide la sua esistenza con la moglie Joan (Judy Davis), anche lei tossicomane. Fra momenti di allucinazione creativa passati davanti alla macchina da scrivere – un’eloquente vagina gigante nonché agente segreto di una società chiamata Interzona Incorporati – e visite di altri improbabili agenti della suddetta società, Lee uccide per sbaglio la moglie mentre giocano al Guglielmo Tell. Sconvolto, l’uomo decide di partire per Interzona, terra di piaceri leciti e illeciti dove, fra inquietanti scrittori di mezza età (Ian Holmes), omosessuali apparentemente repressi (Julian Sands) e una sosia della moglie, Lee arriverà ad incontrare il famigerato e temibile Dottor Benway (Roy Schneider), capo dell’organizzazione che dà il nome a Interzona e guru supremo della Carne Nera, la droga più potente mai esistita al mondo. Salvo poi fuggire da tutto ad Annexia per ricominciare una nuova vita con la moglie. O forse no.
Come il rumore di sottofondo della vicenda può far intuire – la droga – la mutazione è uno dei temi portanti del film, teso a rendere visivamente l’idea della scrittura come allucinazione e/o viceversa: non solo la macchina da scrivere parla, materializzando la parola stampata in una voragine di carne, ma le visioni alterate dall’uso della droga tramutano la realtà in pagina scritta e tasti che sprigionano il nettare della creatività, la mucosa che avviluppa i sensi in un liquido amniotico di oblio, un seme stantio che riduce la mente allo stadio larvale, cancellando le parole nell’atto stesso di scriverle, perdendole nella polvere che scorre nel corpo e riparte in circolo, formando nuove parole.
Seme, liquido, mucosa: nessuna mutazione può essere negoziata se non attraverso il corpo e nell’attraversamento fra corpi, in un crocevia di prossimità virale e viscerale di deleuziana memoria. Qui più che altrove, Cronenberg mette in scena una sessualità conflittuale e irrisolta, che non conduce a nessuna libertà ma anzi riporta alla maschera paurosa del sé e del (nel) altro. Da un lato, i coiti eterosessuali vengono continuamente interrotti da forze o interventi esterni, o più semplicemente dal flusso della droga (“Mi faccio di pesticida, non ho bisogno di orgasmi”, dice Joan ad un certo punto), mentre dall’altro gli accoppiamenti omosessuali sono ritratti come immenso abominio simile all’omicidio o al cannibalismo (come la ferocissima scena fra Cloquet e il timido prostituto Kiki). In più, per dirla con le parole di Clark Nova, la macchina da scrivere di Lee, “Le donne non sono umane”: ma chi lo è veramente nell’universo senza confini di Cronenberg? Nessuno si salva, e lo sparo finale –ripetizione del senso di colpa e coazione a ripetere il rimorso provato nella realtà sul piano falsato della percezione onirico narcotizzante – è in realtà un punto di partenza, un buco senza ritorno e senza fondo nei meandri del parto creativo e della scrittura, vera e propria Carne Nera che avvolge e strangola il protagonista trasportandolo in un territorio apparentemente altro, quell’Interzona che è alterazione della coscienza e mutazione genetica fra organico e inorganico, esplosi e fusi insieme nell’intelaiatura di una macchina da scrivere parlante che secerne sperma e sangue, per poi annettere lo scrittore completamente a sé nel territorio limbale ed eterno di Annexia, di nuovo attraverso il virus della scrittura, unica droga in grado di fagocitare se stessa invadendo gli umani (altri) con la propria tirannica volontà di esserci e farsi “carne”. “Language is a virus”, scriveva Burroughs nel romanzo Sterminatore!, e Cronenberg certamente non deve essersene dimenticato mentre ideava e girava questo film. Per molti Peter Weller resterà sempre Robocop, ma basterà dare un’occhiata al Pasto Nudo per ridimensionare la sua statura di attore e associare per sempre il suo volto smunto e allucinato alle divagazioni mutanti di William Burroughs riletto da Cronenberg.
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