La I ha in italiano
tre valori fondamentali:
quello di vocale, quello di semiconsonante
e quello di segno diacritico.
E’ che non so mai cosa mettermi. Uff… Intanto accendo la TV.
…E’ la terza donna uccisa in un mese. La città è sconvolta. Questa volta l’assassino ha usato delle forbici. La vittima si trovava nel bagno…
Vago per la casa. Sgranocchio qualcosa in cucina, metto in ordine la scrivania dello studio, mi butto sulla poltrona. Cosa mi metto?
Davanti allo specchio mi convinco che per avere quarant’anni non sono niente male. Sono naturalmente sofisticata, come dice sempre Giorgio. Mi stiro la pelle sui fianchi fino all’incavo con i glutei artigliando leggermente la carne del fondoschiena. Un leggero avvitamento del tronco a sinistra. Così sbircio meglio il mio pezzo forte. Guarda qua che sedere! Con tutto lo spinning e lo step che mi sparo in palestra! Vorrei vedere.
…Continua la caccia al mostro, la polizia sostiene che l’assassino, o forse l’assassina, come lasciano trapelare certe indiscrezioni, abbia le ore contate. Il capo della Squadra Mobile milanese il dottor…
Spengo. Non ne posso più delle solite notizie! Ho deciso.
La mia camera da letto è in disordine. Quando non c’è Evelina a mettere a posto, mi sento un po’ persa. Faccio suonare un vecchio pezzo dei Talking Heads Once in a lifetime. Wow! Sorridi, Daniela. E ballo, come ai tempi della scuola. Scompigliandomi i capelli, azzardando gesti osceni davanti allo specchio del comò. Tonc. Tonc? Spengo la musica.
Resto imbambolata a fissarmi il contorno occhi. Sollevo il mento verso destra, maledico le due collane di Venere e chiedo se c’è qualcuno. Silenzio.
Che sia Giorgio? Sarà caduto qualcosa in cucina. Vado a vedere. Niente. Torno in camera. Finisco di prepararmi. Dài Daniela, stai facendo tardi.
Tonc. Ancora? Ma che rumore è? Forse in salotto. Guardo dappertutto. Niente.
Torno in camera. Finisco di truccarmi. E’ tardissimo!
Tonc. Non è possibile. Evelina non c’è, Giorgio è al lavoro e io sono sola in casa. Sarà l’inquilino dell’appartamento di sopra. Certo. Che sciocca. La psicosi del mostro è contagiosa eh, Daniela?
Controllo l’orologio. Guardo la mia Milano fuori dalla finestra.
Torno in camera. Il rossetto.
Tonc. Adesso Ho paura. C’è nessuno in casa? Passi, tacchi, sospiri. C’è nessuno in casa? Mi precipito in cucina, prendo un coltello, l’ho visto fare un sacco di volte, al cinema. Adesso mi sento più sicura. Guardo ancora fuori dalla finestra stringendo forte il manico. C’è una macchina verde petrolio, laggiù. Due uomini si guardano intorno con fare sospetto. Hanno delle facce orribili, con i baffi. Parlano tra di loro, si voltano verso la mia finestra, la indicano, mi scosto appena in tempo. Cosa vogliono da me? Chiamo subito la polizia. Aspetta. E cosa gli racconto? Un riflesso. Nel vetro la figura di una donna. Tacchi. Un respiro. Mi volto di scatto puntando il coltello e urlo. Niente. Apro il portone di casa e sento un risuonare di passi giù per le scale. Mi precipito, niente.
La I è la più chiusa
delle vocali anteriori o palatali
e può essere tonica
oppure atona.
“Daniela! Finalmente! Ti ho chiamata un sacco di volte sul cellulare! Che ti è successo? Stavo in pensiero!”
La bacio. Mi siedo sullo sgabello di fianco a lei davanti al bancone. Poggio la borsetta sulle ginocchia. La tranquillizzo spiegandole che sicuramente non è nulla, una sciocchezza, e sfodero uno dei miei famosi sorrisi professionali.
“Sarà…, però mi sono preoccupata, poi c’era un tizio che mi fissava e non sapevo come liberarmene, sai, con quello che si sente in TV…cosa beviamo?”
Io chiedo qualcosa di forte.
Veniamo qui da tanti anni. Bar di tendenza, gente a posto, elegante, ambiente okay. Conosciamo un sacco di gente. Carla mi porge il bicchiere e accenna al “cin”.
“Allora? Vuoi raccontare alla tua dottoressa che ti è successo?”
Carla Minghetti è più di un’amica. Ci conosciamo dai tempi della scuola e se facciamo i conti sono già venticinque anni. E’ psicologa. E dicono che sia molto brava. Le spiego tutto della donna e dei due tipi con la macchina e di quello che mi ha risposto il 113 quando li ho chiamati.
“Hanno pensato che tu fossi una mitomane, dunque, una delle diecimila pazze che da quando c’è ‘sta storia del mostro vede maniaci dappertutto! Che stronzi!”
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