— Ma che sciocchezza! Lo sa benissimo il mio nome. Vengo qua tutte le sere e ancora mi trattate come uno sconosciuto qualunque. Giuro che è l’ultima volta che metto piede in questo locale.

Ci aveva messo tutto lo sdegno di cui fosse capace, ma il suo abbigliamento faceva sorgere più di un dubbio sul fatto che fosse un uomo di successo.

Vide l’omone biondo soffermarsi per qualche istante a valutare le scarpe da ginnastica, quindi passare ai pantaloni lisi e infine al giubbotto comprato al mercato. La sua faccia Non-raccontarmi-stronzate-amico gli consigliò una ritirata onorevole, senza calci in culo o voli sul marciapiede.

Mentre si allontanava dal locale, Ernesto scorse Tony dall’altro lato della strada. Gli stava indicando l’orologio.

Diede un’occhiata al suo Casio falso made in Taiwan e si accorse che mancava solo un’ora.

Fanculo, stronzo.

Se Maometto non poteva andare alla montagna, si disse, la montagna sarebbe andata da Maometto.

Tornò a grandi passi alla cabina telefonica in cui si era fermato poco prima e infilò un paio di monete da venti centesimi nel telefono. Dall’892-892 si fece dare il numero del Kissing Devil e chiamò il locale.

— Pronto? — La voce di chi aveva risposto gli arrivò assieme a un guazzabuglio incomprensibile di rumori di sottofondo.

— Pronto, il signor Vallini è lì? Gli dica che gli stanno rubando l’Alfa. Presto!

Buttò giù e corse all’incrocio, a spiare da dietro l’angolo l’entrata del locale. Meno di un minuto dopo vide Vallini precipitarsi fuori e correre verso il vicolo in cui aveva parcheggiato, e in cui lui lo attendeva.

Pure la ragazza era uscita, ma coi tacchi alti faticava a star dietro all’attore: dopo neanche dieci metri desistette dal correre e prese a camminare lentamente.

Era il momento.

Ernesto si appiattì al muro ed estrasse il machete dal giubbotto, mentre i passi di Vallini riecheggiavano sempre più vicini.

Inspirò profondamente.

Cinque…quattro…tre…due…uno…

Vallini girò l’angolo correndo e la sua gola incocciò nella lama affilata del machete che gli saettava contro. Il sangue sprizzò furioso.

Un colpo, un morto.

La testa dell’uomo volò via, il resto del corpo crollò pesantemente sul marciapiedi.

Ernesto, sbilanciato dal colpo portato a due mani come se stesse impugnando una mazza da baseball, ruotò su se stesso e andò a sbattere con un braccio contro il muro. Lasciò la presa sul machete che rimbalzò risuonando di metallo sull’asfalto sconnesso del vicolo.

Imprecando, corse a riprendere l’arma. Doveva fare in fretta, lo sapeva: la ragazza avrebbe girato l’angolo di lì a poco. Afferrò la testa di Vallini e l’infilò nel sacchetto nero che aveva portato con sé in una tasca del giubbotto.

Con il suo trofeo, poi, scappò più veloce che poteva verso la fine del vicolo. Voltò a sinistra un attimo prima che l’urlo alle sue spalle gli rivelasse la scoperta del cadavere.

Si fermò un istante a riprendere fiato, quindi riprese a correre. La ragnatela di vicoli bui che percorreva faceva il giro di un paio di edifici e sbucava di nuovo in Corso Vittorio Emanuele, cinquanta metri prima del punto in cui aveva lasciato la macchina.

Mentre la gente si accalcava intorno al corpo decapitato di Vallini, raggiunse inosservato la Punto.

Aveva il respiro grosso, ma non poteva rifiatare, non era ancora finita.

Mise in moto e partì, senza sgommate che attirassero l’attenzione. Solo quando fu abbastanza lontano dal Kissing Devil spinse il piede sull’acceleratore.

Impiegò venti minuti per raggiungere il suo garage fuori città. Tony era lì che lo attendeva, sperando, ovviamente, che arrivasse in ritardo.

— In anticipo di mezz’ora. Non credevo che ce l’avresti fatta — fu costretto ad ammettere, quando Ernesto uscì dall’auto.

— Vaffanculo. Se non era per la tua amichetta, ci mettevo dieci minuti a farlo fuori.

— Senti chi parla! Per farmi perdere tempo la volta scorsa mi hai sguinzagliato alle calcagna un omosessuale che voleva per forza rimorchiarmi.

— Lasciamo perdere, va’. Anzi, a proposito, la tua Deborah terrà la bocca chiusa?

— Entrerà pure lei in gioco, la prossima settimana. Non preoccuparti, non parlerà. Ti ci puoi giocare la testa.

Ernesto sorrise sarcastico. — Ah. Ah. Ah! Spiritoso.

Gettò il sacco con la testa di Vallini sul pavimento.

— Due a uno per me — fece.

Tony lo guardò, poi si concentrò sulla testa e le diede un calcio, come se stesse tirando una punizione all’incrocio dei pali. — Già, ma domani tocca a me! — disse, prima di recuperare il machete, montare sulla sua Skoda Felicia e filare via.

Ernesto seguì con lo sguardo la macchina che si allontanava, poi con un pennarello rosso segnò una X accanto al proprio nome. Fissò la tabella attaccata al muro e sospirò.

Due a uno.

Gli mancava un punto, la partita non era ancora vinta.