— Le andrebbe un drink?

Di’ di no! Di’ di no!

— E come potrei rifiutare?

Dannata puttana!

La ragazza ammiccò civettuola e tese la mano destra: — Oh, scusi la cattiva educazione: non mi sono neanche presentata! Comunque, mi chiamo Deborah, Deborah con la acca — fece, sottolineando le ultime parole con voce voluttuosa.

Vallini si esibì in una specie di baciamano. — Piacere, Deborah con la acca! — Un altro sorriso a trentadue denti, in stile pubblicità per dentifricio, e le offrì il braccio. — Andiamo, allora.

La ragazza gli si avvinghiò senza farselo ripetere e i due fecero dietrofront per dirigersi verso il locale da cui lui era appena uscito.

Un attimo prima che giungessero alla cabina in cui si era fermato, Ernesto spinse la mano col machete davanti a sé, in modo che l’arma si trovasse a sandwich tra il suo corpo e la base del telefono, e prese a parlottare col suo immaginario interlocutore di partite a calcetto e portieri che non si trovavano. Alle cinque di mattina…

Ma che cazzo sto dicendo!

Imprecando tra sé, sperò che Vallini e la smorfiosa non fossero riusciti a distinguere le sue parole sconclusionate. Voltò la testa quando quelli gli passarono proprio accanto.

Non appena quelli l’ebbero sorpassato, però, vide la ragazza girarsi rapidamente verso di lui, guardarlo negli occhi e con la mano libera mostrargli il dito medio.

Ma che diavolo…

Deborah con la acca si voltò di nuovo e riprese a parlare con Vallini come se nulla fosse accaduto.

Ernesto, esterrefatto, restò con la cornetta in mano per qualche istante. Non c’era nessun altro nel vicolo: il gesto era rivolto proprio a lui. Ma perché, si chiese.

Un po’ alla volta, poi, un’idea si fece largo nel suo cervello.

Sicuramente c’era lo zampino di Tony.

Infuriato schiantò la cornetta sul telefono e prese a muoversi rapidamente verso i due, che già erano ormai prossimi a voltare l’angolo, oltre il quale, a venti metri, avrebbero trovato la salvezza.

In realtà non aveva per niente chiaro in che modo dovesse agire. Il piano originario era andato a farsi benedire e lui non era un mago dell’improvvisazione.

Avvicinandosi a grandi passi all’attore e alla sua fan inopportuna sentì i battiti crescere a un ritmo insostenibile, il sudore rendergli viscida la presa sul machete.

Si rese conto che non ce l’avrebbe fatta. Uccidere pure quella cretina non era una cosa preventivata, e soprattutto non era fattibile. Con una pistola forse sì, ma non col machete.

Chissà che casino avrebbe fatto vedendo la testa di Vallini rotolare sull’asfalto! Avrebbe urlato peggio di una soprano alla Scala e sarebbe accorsa un sacco di gente dal Kissing Devil. E allora lui come se la sarebbe cavata? Con una strage a colpi di machete? Neanche nei film horror più cazzuti si vedevano cose del genere.

Niente da fare. Doveva pensare, e doveva farlo in fretta.

Rallentò l’andatura e infilò il manico del machete nei pantaloni, nascondendo la lunga lama sotto il giubbotto, proprio mentre Vallini e la ragazza voltavano l’angolo.

Aspettò che si allontanassero un altro po’, poi si immise pure lui in Corso Vittorio Emanuele e si diresse verso il locale, sapendo già come sarebbe andata a finire. Era un posto per gente coi soldi. Lui non rientrava certo nella categoria. L’avrebbero allontanato a calci in culo, pensò, però un tentativo doveva farlo lo stesso. Inspirò forte e si infilò la sua migliore faccia di bronzo.

Le luci rosse dell’insegna si diffrangevano sulle spalle enormi dei due addetti alla sicurezza che sorvegliavano l’ingresso. Il primo era calvo e con un grugno poco amichevole, il secondo invece era biondo, pettinatura stile David Beckham duemiladue e sguardo da seduttore navigato. Entrambi indossavano dei vestiti molto migliori dei suoi.

Si avvicinò loro con un’aria di superiorità fasulla a prima vista quanto un dollaro cinese.

— Salve — disse, e cercò di entrare come se fosse stato di casa.

Mastrolindo lo bloccò.

— Scusi, lei è in lista? — Il suo tono sapeva tanto di spremuta di buone maniere andata a male.

— Certo che sono in lista. E ora, scusi ma ci sono delle persone che mi attendono.

Ernesto sfoderò un’espressione vagamente risentita e provò a passare, ma il buttafuori non si spostò di un millimetro.

— Mi dispiace, ma devo controllare. Mi dice il suo nome, per cortesia?

Le cose si mettevano male.