Forse pensava che io mi riferissi a quando era più conosciuto, in serie B. La Gribaudense era in promozione e aveva lui aveva quarant'anni, era alla sua ultima stagione. "Avevo dieci anni" continuo "la partita contro l'Illianese". Si nasconde dietro il bicchiere, non vedo che faccia ha fatto. "L'ultima partita" dice, ma la voce si perde nel vino.
"Avevo dieci anni, ma me la ricordo bene" continuo io. "Ci vivevo, a Illiano".
Fa un sorrisetto. "Mi dispiace". Sorrido anch'io, dico "com'è che si dice, è un gioco".
Lo rifà, il sorriso, ma è un sorriso furbo, dice "sì sì è un gioco", ma negli occhi si legge "col cazzo, che è un gioco".
"Un gran goal" dico io. Lui dice "bello, sì. A farlo qualche anno prima ci finivo in serie A". Si stringe nelle spalle, chissà quante volte se l'è ripetuta questa cosa, magari è anche vero, ma non è che cambi molto a pensarci adesso.
Lo fisso, non dico niente ma si vede che voglio che me lo racconti, quel goal.
Io ero lì, me lo ricordo bene. La partita era stata un mortorio; cioè, le partite della nostra squadra erano sempre un mortorio, se segnavano un goal poi si mettevano in undici davanti alla porta, fino alla fine; altrimenti era zero a zero. Questo in casa: fuori, quell'anno, non c'era stato verso di pareggiarne una, un record di sconfitte che non l'ha battuto più nessuno, credo. Era l'ultima del campionato; ci bastava un pareggio per salvarci.
Alza la testa, rifà il gesto di guardarsi intorno. Si capisce che sta rivedendo l'azione. "Ero tornato a coprire la fascia, a sinistra avevamo un terzino che era una mezza sega, lo sapevano tutti e cercavano sempre di entrarci da quella parte. A un certo punto uno dei loro si allunga la palla e io ne approfitto per fregargliela." Guarda giù nel bicchiere, ha lo sguardo acceso ma non credo che sia per i tre bianchi.
"Vedo uno libero sulla tre quarti, dall'altra parte del campo", mica per niente lo chiavamavano l'Aquilotto, "gliela lancio. Precisa, gli arriva talmente giusta che riesce a stopparla da fermo tra suola e terreno, inchiodata lì". Lo sguardo gli si perde nel nulla. "Praticamente gliel'ho incastrata io sotto il piede."
"Una palla così e quello non sa che farsene. Rimane lì, si guarda intorno, non sa a chi darla. Non si smarca nessuno."
Me ne ricordo anche io, mancavano sì e no tre minuti alla fine e sembrava che a nessuno andasse più di correre, di provarci; né dei nostri né dei loro.
"Allora gli corro incontro. Ridammela, gli urlo. Quello me la ripassa, sono sulla tre quarti anche io, al centro. Finto lo scatto a destra ma intanto ho visto l'ala dietro di me, sulla sinistra, e gliel'allungo di tacco, mentre mi porto dietro un paio di difensori, dentro l'area."
L'ala non se l'aspettava quella palla, ce l'ho ancora davanti agli occhi, fermo piantato nel campo anche se l'Aquilotto gli aveva aperto un'autostrada verso la porta.
"Quello stronzo invece di puntare verso il portiere me la ridà al limite dell'area, anche se ne ho due addosso e le spalle alla porta. Mentre la palla mi arriva faccio un mezzo passo a sinistra, come se volessi andare sul fondo. Abboccano tutti e due e si sbilanciano da quella parte, io con l'esterno aggancio la palla, mi giro sulla destra ed entro in area. Mi trovo davanti uno, grande come un armadio".
Era il cugino del nostro presidente, l'armadio. Con la palla aveva poca confidenza, ma di centravanti ne ha mandati un bel po' al traumatologico.
"Dalla faccia si capisce che se mi mette i piedi addosso esco dal campo in barella, ma a parte quello non ha l'aria molto sveglia; allungo la palla alla sua destra e gli giro attorno dall'altra parte. Quando arrivo a riprendere il pallone sono in mezzo all'area, solo. Davanti c'è il portiere."
Già, il portiere; di tutti è quello che mi è rimasto più impresso, me lo vedo ancora preciso, lo sguardo che ha, la smorfia che fa. Mi ricordo anche i due passetti sul posto che ha fatto, non sapeva se uscire o aspettare in porta.
"Fermarmi non posso, dietro c'è ancora l'armadio che se mi salta addosso mi massacra, faccio un paio di passi verso il portiere" continua l'Aquilotto "e quello non l'ho mica mai capito cosa volesse fare, invece di buttarmisi tra le gambe ha fatto uno strano passo in laterale, e io non so perché, con tutto lo spazio che c'era da una parte e dall'altra, che potevo infilarlo a occhi chiusi, ho fatto un altro passo in avanti e la palla gliel'ho spedita tra le sue, di gambe. Con un tunnel gli ho fatto gol."
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