Il mio sogno nel cassetto? Scrivere racconti horror. E quando il caporedattore mi ha chiesto se volevo intervistare Lucio Fulci, il più splatter tra tutti i registi del mondo, ho detto subito di sì.

Ho impiegato una decina di giorni per mettermi in pari con i suoi film che non ho visto- ne ha girati così tanti! – e soprattutto per leggere le montagne di critica che è stata scritta su di lui. Il più odioso tra tutti i giornalisti è uno spocchioso critico francese, che ha sicuramente ambizioni di regista ma non credo andrà da nessuna parte. Dice che Fulci è ossessionato dalla religione e dalla religiosità. A me non pare, sinceramente. Piuttosto mi chiedo come fa quell’uomo a farsi venire in mente simili atrocità. Occhi strappati dalle orbite. Cervelli spiaccicati su tutte le superfici possibili. Corpi mutilati, interiora messe a nudo, teste trapanate. Orde di gatti infuriati. Ce ne sarà sicuramente uno a casa sua, rifletto mentre cerco il civico e mi immagino sbranata viva da un felino inferocito.

Al citofono risponde una voce burbera, per poco non mi faccio il segno della croce.

Ho per un attimo la tentazione di andarmene poi rifletto, come faccio spesso notare ai miei lettori e ai miei amici, che l’horror è materia per gente a cui piace scherzare.

Fulci è un personaggio divertentissimo. La sua casa è tappezzata di fotografie di barche – le sue barche, mi spiega – e di foto dei suoi film. Lui succhia caramelle dietetiche alla liquirizia mentre un cagnetto di piccola taglia uggiola ai suoi piedi, correndo instancabilmente dal salotto alla cucina (presumo).

Alle mie domande Fulci non risponde, ovvero si fabbrica risposte da solo, facendo una spietata radiografia di tutto il cinema italiano. Ma alla fine di ogni amara constatazione su quanto poco siano valutati i registi in Italia, e di come non resta nulla ai veri realizzatori dei film (nemmeno le copie su pellicola), esplode in una risata. Cose di questo genere non hanno il potere di avvelenarlo.

Quando arrivo alla domanda clou, quella che tutti i lettori vorrebbero facessi e cioè se pensa che l’horror possa indurre alla violenza, mi chiede se ho visto il suo ultimo film, appena uscito nelle sale, Un gatto nel cervello. Al mio segno di diniego mi dice: “Vada a vederlo, la risposta che cerca è là dentro. È un film autobiografico, sono io il protagonista”. E mentre immagino crudeltà su crudeltà commesse dal regista per prendere ispirazione, al montatore che si sporca le mani di sangue toccando le sue pellicole durante il montaggio, lui mi dice: “Vede quella pendola?”

Guardo il vecchio orologio di fronte a noi che segna mezzogiorno.

“Sa cos’è il cane di Pavlov? E continua senza aspettare risposta Be’, lui – e indica il suo cane che gli scodinzola di fronte – è qualcosa di simile. Quando la pendola suonerà, meglio che gli dia da mangiare se non voglio che mangi me!” e ride, con quella sua risata roca.

Bene, ci mancava solo un cane cannibale. Ma si potrà dire cane cannibale? Mi chiedo mentre i due si allontanano e la pendola suona i suoi lugubri rintocchi. Forse è convinta che sia mezzanotte. Fulci continua a borbottare qualcosa, non so se parla con me e nell’incertezza resto seduta al mio posto.

“Vorrei tanto scrivere racconti horror” gli dico quando torna. Mi dà un consiglio?

“Il consiglio migliore è questo: giochi con le sue idee. Ricordi sempre che la scrittura è una cosa e la realtà è un’altra. Ma noi non abbiamo niente a che fare con la violenza reale”.

Ancora qualche domanda e l’intervista è finita.

Mi alzo per andarmene. La pendola suona l’una, e mentre Fulci si avvicina alla porta dell’ingresso immerso nella penombra, arriva il cagnetto scodinzolando e trascinando un pupazzo che è quasi più grande di lui. Vorrà sicuramente farmi vedere il suo giocattolo preferito, che carino.

Lo guardo e prendo fiato mentre mi deposita ai piedi un omaggio del tutto personale.

Fulci sta per aprire la porta che farà la differenza, almeno per me, tra dentro e fuori dall’orrore.

Ai miei piedi, una testa di donna.

“Non ci faccia caso. Dicono che i cani e i loro padroni si somigliano sempre”, sussurra Fulci, la mano contratta sulla maniglia.