Make-up? Maybelline, un altro classico. Nemmeno Lancome era male, ma a Hendra i testimonial di Isabella Rosellini non avevano mai fatto nè caldo nè freddo. Applicò appena un tocco di mascara per le ciglia e una singola passata di rossetto natural brown che facesse risaltare la sua abbronzatura. Niente smalto per le unghie, non aveva le unghie adatte. Non più.

Fece scivolare i piedi nei sandali da sera di Chanel, pelle nera lucida, tacco da otto centimetri.

Adesso era alta un metro e novantadue. Sempre di trasgressione.

“È arrivato di nuovo quel tempo.”

Hendra voltò le spalle al vento caldo, alla tenebra monolitica che si dilatava al di là della terrazza. Rivolse un vago sorriso all’obbiettivo anamorfico della telecamera in presa diretta. Non cessò di muoversi attorno al vasto tavolo, accuratamente imbandito per la cerimonia.

“Come vogliamo definirlo? Tempo della memoria perduta? Del ricordo cancellato? Del testamento finale? Non credo di essere mai stata molto brava con le definizioni. Forse nessuno lo è... Scusate: lo ERA.”

Aragosta, patè de fois gràs, prosciutto crudo di Parma, Veuve Clicquot nel secchiello pieno di ghiaccio. Le varie portate erano presentate sul piano di cristallo in modo assolutamente perfetto, stelle di multicolori dell’epicureismo terminale.

“Potrebbe anche essere il tempo dell’ipotesi della speranza. Solo l’ipotesi. Qui e adesso: decimo anniversario del’Ecclesiaste, la speranza è materiale per chi se lo può permettere. Conoscete il mio nome: Hendra Wilson. Ve l’ho detto nei nove DVD precedenti. Forse qualcuno lo ricorda il mio volto: tutte quelle palle sulla trasgressione della bellezza classica. Tutte quelle copertine patinate di prima del buio. Vogue, She, Elle...” Hendra fece schioccare le dita. “Le copertine sono svanite. Anche tutto il resto è svanito. La trasgressione però è rimasta.”

Aprì la bottiglia di champagne, controllando con destrezza la pressione del tappo. Se ne versò un calice, brindò verso l’impassibile occhio di quarzo, portò il Veuve Clicquot alle labbra. Non bevve.

“Come sapete, non esistono ipotesi sulla genesi dell’Ecclesiaste” Hendra scosse il capo. “Genesi, Ecclesiaste... Non male come contraddizione in termini. La realtà è che non esistono ipotesi perchè nessuno ha avuto il tempo di formularle. Voglio dire, è accaduto tutto troppo in fretta. Ventiquattro ore. Forse addirittura meno. E’ possibile che l’intero genere umano sia andato in polvere, letteralmente in polvere, nell’arco di una notte.”

Hendra vuotò d’un fiato il calice.

“Li ho visti disintegrarsi. Nelle strade, al volante delle macchine, nei treni della metropolitana, nei supermercati. Fu come se i vari sistemi vitali dell’organismo fossero diventati incompatibili uno con l’altro.”

Si versò dell’altro champagne.

“Paura? Vi chiedete se ho avuto paura? Nemmeno dopo tutto questo tempo sono in grado di trovare una parola per descrivervi ciò che ho sentito. Il giorno dell’Ecclesiaste, avevo vent’anni. Sono andata in una chiesa, credo fosse la Cattedrale di San Patrick. Ho pregato. C’erano tanti altri a pregare con me. C’era anche un prete. Disse che Dio si era stancato dell’uomo, la più imperfetta delle sue creazioni. Per questo aveva scatenato l’Ecclesiaste. L’ultimo di tutti i flagelli. Una sindrome senza terapia, senza uscita, senza superstiti. Anche le ultime trasmissioni prima del buio usarono quella parola: sindrome...” bevve un breve sorso. “Sindrome dell’Ecclesiaste.”

Hendra si fermò di fronte all’obbiettivo. Scrutò direttamente nei prismi.

“Sembra però che le cose non siano andate esattamente come voleva il Dio di cui parlava quel prete.”

La spia rossa intermittente della registrazione in corso rispose al suo sguardo.

“Uno di noi è rimasto.”

“L’errore di dio.”

Hendra si passò le mani sul volto.

“Lo so, lo so: quale modo insopportabilmente presuntuoso, intollerabilmente egocentrico per definire me stessa. Ma vedete, è stato quello a farmi andare avanti. C’erano altre alternative, è chiaro. Una pallottola nel cranio, un salto dall’Empire State Building, un tuffo nello East River. Non crediate che non ci abbia pensato. Certo che l’ho fatto. Migliaia, milioni di volte. Credo che sia comprensibile averci pensato in un mondo completamente vuoto. Quanti di voi avrebbero retto? Quanti di voi sarebbero stati in grado di controllare, di fermare l’assalto simultaneo di qualche miliardo di fantasmi? Sono anche andata maledettamente vicino a farlo. Sarebbe stato tutto molto più semplice, non trovate? Ma ogni volta, proprio all’ultimo istante, mi sono ritrovata a fare i conti, ecco... Con l’errore di dio.”