Valerio confessò per primo, scoppiando in lacrime e raccontando di essere stato plagiato. Erasmo cedette subito dopo e al termine della sua deposizione si chiuse in un mutismo pressoché totale. Leo crollò inevitabilmente; la sua caduta gli causò anche un grave esaurimento nervoso. Solo Vanni continuò imperterrito a parlare del destino, della guerra e del fuoco. Ma anche alle sue orecchie quei discorsi non suonavano più come l'inno di un ispirato condottiero, bensì come le parole di un ragazzo appena uscito dal liceo e decisamente alienato. Vanni era rimasto da solo; e per quanto si ostinasse a dire che lui non era mai solo, per quanto insistesse a parlare di un noi, ormai la sua voce era solo una.
Leo aveva ragione, i quattro ragazzi si rividero sulle colonne che i giornali nazionali dedicarono all'evento, ma niente che potesse dare materia di conversazione ai salotti bene per più di un paio di settimane. I giovani furono spediti in carcere e ne uscirono in poco tempo grazie ai migliori avvocati sulla piazza. L'immagine dei genitori, trasformatisi in improvvisi martiri delle circostanze, ne uscì addirittura rafforzata. Solo un trafiletto invece fu dedicato al suicidio del dottor Baldini. I frequentatori più abituali dei suoi stessi circoli e club riferirono che nelle ultime settimane era sembrato sempre più distante dal loro mondo. Forse era impazzito. Di certo anch'egli si inabissò nell'anonimato della storia e fu dimenticato.
Quanto all'io che era stato quel noi, io che c'ero quando il gruppo era assieme, non avevo più ragione di accompagnare Vanni, Erasmo, Leo e Valerio nelle loro missioni.
Ma questo è un destino che non è stato cancellato, solo deposto a terra in attesa che qualcuno lo raccolga e lo abiti.
Io che c'ero, quell'io che ora non sono, io ci sarò di nuovo in un giorno non lontano.
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