Qualcuno si affacciò dal primo piano e iniziò a urlare. Ben presto tutti gli inquilini furono alle finestre con i fazzoletti sulla bocca.

Nei minuti precedenti avevano tentato di fuggire dal palazzo. Peccato che l'unica porta fosse ostruita; alle due e cinquantacinque vi avevamo spinto contro i cassonetti dell'immondizia fino a bloccarla completamente. Che splendida ironia. I rifiuti dell'umanità bloccati dai loro stessi rifiuti.

Un nero al primo piano non si diede per vinto e tentò di saltare giù nel piccolo cortile. Grosso errore.

Atterrò di schiena e, nonostante le urla dell'intero condominio, udimmo distintamente il suo grido d'agonia. Era finito dritto dritto sugli speroni di roccia appuntita, i coltelli e le lame di vetro che avevamo piantato in mezzo all'erba. Occorse che altri due temerari tentassero il salto dal piano più vicino finendo dilaniati dalla nostra trappola prima che gli inquilini si accorgessero dell'impossibilità definitiva di ogni via di fuga.

Poi arrivarono i pompieri, ma troppo tardi. Il condominio era ormai una succursale dell'inferno in terra.

– Ci rivediamo sui giornali, ragazzi – dichiarò Leo con soddisfazione mentre Valerio ci portava via in auto. Fece in tempo a fare solo poche centinaia di metri, perché una berlina nera si piazzò in mezzo alla strada impedendoci di proseguire.

Si aprì lo sportello del guidatore e ne uscì il dottor Baldini. Non stava parlando, stava urlando, e come se il tono della sua voce non fosse sufficiente, si stava anche sbracciando come una scimmia. Noi calmissimi, quasi glaciali.

– No! No! Non potete averlo fatto davvero!

Si appoggiò pesantemente al parabrezza, lo sguardo che passava da noi all'incendio e poi di nuovo a noi, senza riuscire a pensare le due cose assieme in un rapporto di causa ed effetto.

Noi uscimmo all'unisono, quattro persone unite dall'efficienza dei soldati e dall'eleganza delle pantere. Anche gli sportelli si chiusero contemporaneamente. Vanni lo apostrofò con acredine, ma era come se a parlare fosse ciascuno di noi.

– Sposta la macchina e facci passare – gli dicemmo.

Baldini cadde in ginocchio. Si portò le mani alle tempie.

– Mio Dio, cosa avete fatto? Siete dei pazzi, dei criminali, e io... io sono peggio di voi. Io che non vi ho denunciato, io che avevo visto che quartiere stavate indicando sulla mappa... ma non credevo che sareste arrivati a... che avreste potuto davvero...

Ci guardammo. Ognuno di noi quattro vide affiorare sul volto degli altri il proprio stesso sorriso beffardo.

– È questo il grande errore. Non crederci capaci di fare le cose che facciamo. Ma il mondo imparerà a conoscerci – declamò Vanni. – Conoscerete noi e la nostra guerra. Ne verrete invasi. Ne sarete bruciati.

Baldini alzò lo sguardo tremante. Ora era lui il ragazzino e noi gli adulti.

– Perché lo fate? Perché?

Non stava domandando, stava implorando. Voleva capire cose che non avrebbe mai potuto capire. Non ce l'avrebbe mai fatta.

– La guerra non ha bisogno di giustificazioni. La guerra si giustifica da sé e si alimenta da sé. La guerra alimenta noi, forgia il nostro destino nel fuoco della vittoria. La guerra ci unisce e ci rende più di quel che siamo come singoli individui. Ci fa diventare più grandi. Immensi.

Baldini si rialzò in piedi, spossato.

– Voi non siete un cazzo! Siete solo dei figli di papà viziati e annoiati che non sanno come passare il tempo! Quando siete assieme vi credete chissà chi, ma presi da soli siete delle mezze seghe, promossi al liceo solo per le spinte dei vostri genitori! Non sapete nemmeno pisciare da soli se uno non tiene l'uccello in mano all'altro!

Ce ne stavamo lì ad ascoltare quel cumulo di bugie su di noi e intanto sentivamo la rabbia che montava. Uno scambio di sguardi d'intesa ci fece avvicinare a Baldini, pronti a chiudergli la bocca per sempre, ma non facemmo in tempo nemmeno a sfiorarlo. Vedemmo i nostri volti illuminati da lampi rossi e blu, sempre più intensi, sempre più vicini. Poco dopo udimmo anche le sirene.

Due volanti della polizia giunsero di corsa e frenarono con una sgommata. Ne uscì una pattuglia di poliziotti che ci mise le manette e ci condusse in questura per accertamenti. L'ultima immagine che vedemmo fu il dottor Baldini che guardava il fumo dell'incendio e si metteva le mani sugli occhi.

* * *