– Chi cazzo credete di prendere in giro? – ci gridò contro.

Nessuno si scompose. Restammo tutti seduti, continuando a guardare la cartina. Poi Vanni, decisamente seccato per l'interruzione, alzò gli occhi verso il visitatore.

– Lei chi diavolo è?

– Sono il dottor Baldini – rispose l'intruso.

Questo avrebbe dovuto dirci qualcosa?

– Sono il proprietario di una villa alle Cinque Terre – proseguì. Appoggiò le mani sul tavolo, inclinandolo leggermente nella sua direzione. – Venti giorni fa è saltata in aria. Oggi la polizia mi ha interrogato chiedendomi se sapevo nulla di un uomo torturato al suo interno.

– Che sgradevole seccatura – commentò Leo. Ridemmo di gusto.

Baldini spazzò via i bicchieri sul tavolo con un gesto rabbioso.

– Avevo dato le chiavi della villa ad alcuni amici di famiglia nel caso volessero farci un salto durante le ferie. Sto parlando dei signori De Santis, i genitori di Valerio. Non è per la villa, non me ne frega niente, ne ho altre. Ma qualcuno ha usato queste chiavi per entrare in casa e fare i suoi comodi.

Guardò la nostra nuova recluta con occhio umido.

– Valerio, ti conosco da quando sei nato. Che hai fatto? Che avete fatto, tutti? Credete che non abbia capito?

Il gelo calò sulla tavolata. Poi Vanni si alzò in piedi.

– Lei non ha idea di quel che sta dicendo – gli disse.

– Andiamo, è ovvio che siete stai voi a...

– A fare che? Eh? A fare che cosa? – lo interruppe Vanni, afferrandolo per il colletto. – Che ne sai lei della guerra? Che ne sa dei pericoli, del fuoco e del destino?

– Lasciami!

– No! Non che non la lascio! Non accettiamo ordini da un civile!

Vanni spinse a terra il dottor Baldini. Gli mise un piede sullo sterno. Sembrava un grande cacciatore ottocentesco immortalato sulle spoglie della sua preda più importante.

– Lei non parlerà – prese a dire Valerio, stupendoci tutti per la sua iniziativa. Non stava dando nessun ordine: il suo tono non avrebbe potuto essere meno imperativo. Stava semplicemente enunciando un dato di fatto. – Non darebbe mai questo dispiacere ai miei genitori. Né si sognerebbe di pestare i piedi a famiglie che contano magistrati, avvocati e persone molto in vista nella nostra città. Lei si limiterà a far finta di indignarsi per questi avvenimenti nei suoi salottini piccolo borghesi e a invidiare la nostra audacia quando, solo con se stesso, rimpiangerà imprese che può realizzare solo nei suoi sogni. Non turberà l'ordine che noi rappresentiamo.

Baldini si era tolto il piede di Vanni dal petto con un moto di stizza e si era rialzato in piedi. La sua voce era incrinata.

– Io... voi siete pazzi. Pazzi. Non avete neanche vent'anni! C'è un testimone che dice di aver visto cinque persone aggirarsi nei pressi della villa. Se anche non parlo, non ci vorrà molto prima che arrivino a voi lo stesso.

– Siamo in quattro, se non se ne fosse accorto – disse Leo. – Valerio, Vanni, Erasmo e il sottoscritto. Siamo solo noi. Noi e nessun altro.

– Vi troveranno lo stesso. Ci sono anche altre indagini in sospeso. I due barboni vicino allo stadio, l'incendio all'officina... Dio non voglia che siate stati voi anche in quei casi. – disse Baldini andandosene, mentre si raggiustava il colletto.

Dopo che fu uscito dal locale il silenzio regnò sul tavolo per alcuni minuti.

– Lo avevo detto che sarebbe stato un rischio – ringhiò Leo.

– Già – convenne Erasmo. – Pare che abbiamo un problema.

– No, cazzo. Per niente. Noi non abbiamo nessun cazzo di problema – disse Vanni. – Il problema ce l'hanno gli altri. Il problema sono gli altri. Noi siamo la soluzione a quel problema. E nessuno si sognerà di fermarci.

* * *

Io c'ero quando la missione avvampò.

Avevamo individuato la palazzina, un condominio di case popolari costruito negli anni cinquanta per gli operai della Fiat. Ora che la crisi dell'azienda aveva allungato la sua ombra lunga sull'intera città, era abitato da una variegata rappresentanza di razze diverse. Un ideale compendio di obiettivi da colpire nella nostra nuova missione.

Tutto era pronto. Alle tre di notte accendemmo le molotov e le buttammo attraverso le finestre dell'appartamento al piano terra. Era sfitto da una settimana; la notte prima ci eravamo premurati di rompere uno dei vetri, così da poter agire senza fare rumore. Quando il fuoco ormai aveva invaso le stanze al piano terra, il principio di incendio si era già trasformato in un incendio vero e proprio. Noi quattro eravamo su una strada vicina, a goderci lo spettacolo in macchina. Guardavamo il fuoco che cresceva ed eravamo consapevoli di stare osservando il nostro destino che si ampliava, che bruciava e annichiliva vite prive di senso, riempiendo di significato le nostre.