Manca poco all'inizio del film. Aspettiamo di gustarci Er Monnezza in versione detective in Non si sevizia un paperino, un Tomas Milian da non crederci. Lucio Fulci al massimo dello splendore, altro che Dar... vabbè, lasciamo stare. Non polemizziamo, siamo a una proiezione al cinema. Siamo sì, in due: io e Giacomo Cacciatore, uno che di Fulci ne capisce, dato che c'ha scritto un saggio su, Il terrorista dei generi.
Parlo sottovoce. Il cinema è deserto, ma parlo sottovoce. Abitudine, boh. Però che la sala sia deserta, no, non mi va giù.
Eh, Giacomo, ci sarebbe o no da polemizzare? Dico, Lucio Fulci, un regista che più poliedrico non si può, tutto compresso in una nicchia di genere. Dimenticato, omaggiato ogni tanto da qualcuno, poi dimenticato, di nuovo...
… E poi ri-omaggiato… Ci sarebbe da polemizzare sui motivi delle rivalutazioni tardive. Credo che un autore lo si debba scoprire quando ce lo suggeriscono le viscere, in tempi non sospetti, contro tutto e contro tutti, se di innamoramento genuino si tratta. Personalmente diffido delle riscoperte con grancassa. Ho idea che in certi casi i giudizi vadano a traino. Nel caso del Fulci à la page, si è andati a traino di Quentin Tarantino che un giorno ha cominciato a dire wonderful, terrific, Lucio Fulci è cugino mio… Questo per ricordarci che non siamo una provincia americana.
Ti faccio un altro nome: Mario Bava.
Senza di lui, probabilmente, non sarebbe esistito il Fulci horror come lo conosciamo. Né Dario Argento come affettuosamente lo ricordiamo.
Il terzo nome fallo tu, e cerca di non essere omertoso.
Tra gli italiani? Fernando Di Leo. E qui scopro l'acqua calda. Ma pure Massimo Dallamano ed Enzo G. Castellari qualche soddisfazione la danno ancora, rispolverandoli.
Aspe’, passo indietro. Cacciatore Giacomo, scrittore. Da dove nasce la tua passione per il cinema?
Nasce prima dello scrittore. Avevo un cinema di seconda (o forse decima) visione a due passi da casa. Si chiamava Edison, già Astracine. Era stato sede del fascio sotto il primo dittatore calvo italico, poi fabbrica di acciughe inscatolate, ed è finito come cinema a luci rosse prima che ci impiantassero un'aula seminari della facoltà di Giurisprudenza di Palermo. L'Edison era la tana del Cacciatore bambino, solitario e sfigato. Andavo a vederci i Godzilla di caucciù, i Kong uragano sulla metropoli, i peplum, qualche Bruce Lee (o Brucia-Lè, come lo chiamavano i ragazzi del circondario). Lì dentro ho perso l'innocenza con "Zombi 2" di Fulci, vietato ai diciotto ma permesso anche ai lattanti, in quella zona franca che è il quartiere Albergheria. Il resto del danno, sempre all'Edison, me l'hanno fatto i film di Herzog, di Kubrick, e tutto quello che passava il convento.
Bene, ho capito. Il cinema. Ma la letteratura? Avrai qualche scrittore di riferimento...
Banale… la mia risposta, naturalmente, non lo scrittore di riferimento. A nove anni, giorno della prima comunione, qualche invitato lungimirante (o pervertito) mi regalò l'edizione Bietti di tutti i racconti di E. A. Poe. Il resto dell'infanzia l'ho trascorso con l'idea che prima o poi sarei stato vittima di un'inumazione prematura. Lì ho capito che la letteratura può contagiarti, entrarti nel sangue e che non ci sono antibiotici che reggono. Mi sono dato all'omeopatia: scrivere io stesso. Però continuavo a sognare di fare il regista. E in fondo continuo a pensare che scrivere per me è come entrare in un set a tua completa disposizione, dove però la troupe da galvanizzare o con la quale incazzarsi è tutta dentro la tua testa, ed è composta solo da te. Preoccupante, vero?
Preoccupante, forse. Economico di sicuro. Avete presente quanto costa mettere su una produzione cinematografica, anche la più smilza che ci sia? Lasciamo perdere. Curiosità: da quale regista faresti adattare L’uomo di spalle? Scomoda anche i morti, se vuoi.
Allora esagero. Forse non c'entra niente, ma legherei George Romero a una sedia pur di vederlo lavorare a un mio libro. Sul versante dei cari estinti voglio Lucio Fulci, è ovvio.
Buio in sala. Comincia il film. Silenzio, doveroso.
I fotogrammi si susseguono sul cinemascope, passa il tempo, tic, tic, tic. Fine primo tempo. Arrivano due tipi, un ragazzo e una ragazza, e si vanno a piazzare in prima fila, mossa non troppo intelligente, se non proprio da deficienti, considerando che la sala è vuota. Dopo un po’ arriva anche un altro tipo, bello grosso, che nel buio sembra Maurizio Costanzo o Lino Banfi sovrappeso.
Sospiro – Mah... – e sono talmente preso dallo sgomento che mi dimentico di loro nel giro di cinque nanosecondi.
- Quei due – dice Giacomo.
- Eh?
- Dico, quelli là...
- Chi?
- Ma se ci siamo sono noi e loro!
- Ah.
- Eh, non li hai riconosciuti?
- No.
- Sono Stars. Stelline del palcoscenico.
- Non vado quasi mai a teatro – rispondo – costa troppo.
- Ma che hai capito?! Non la vedi mai la televisione?
- Non vedo mai la televisione – dico – costa troppo.
- Costa troppo? Ma se nei negozi te le tirano addosso!
- Ehi, la corrente, il canone...
- Sarai tirchio? Comunque, Stars è un programma televisivo, possibile che non lo conosci? Quello dove insegnano un gruppo di ragazzi in cattività a diventare cantanti attori ballerini.
- Ah, interessante.
- Ma che interessante! Lo vedi quello a destra? Il tipo che non si è tolto il cappello e la sciarpa.
- Aspe’, quello lo conosco pure io. Fa lo scrittore, anche. Di noir, dice.
- Bravo, proprio lui: Marco Pippis.
- Marco Pippis! Sì, sì, lo vedo spesso ai talk show.
- Allora lo vedi che la guardi pure tu la televisione? – puntella il Cacciatore.
- Sì, a casa di mia zia, ché piglia ‘na bella pensione, lei, e si paga canone, elettricità e tutto.
- Sarai tirchio?
- Ma va’!
E tu, o Cacciatore, che scrittore sei? Di noir anche tu?
Perlopiù mi viene spontaneo essere scrittore "di me". Non nel senso che mi abbandono alle pippis, ma nel senso che non cerco mai di chiudermi in un recinto se mi preparo a fare una corsa. Penso a una storia da scrivere, ma la prima cosa che mi chiedo non è se sia noir o meno. Mi chiedo se è una storia "me" e se ha qualche possibilità di funzionare. Poi, alla fine, magari mi accorgo che ho usato dei meccanismi che si avvicinano al noir: per le attese, le anticipazioni, i colpi di scena, le atmosfere non proprio ottimistiche. Ma le procedure della suspense e della semina sono universali, e non le trovi soltanto nel genere. Le usano tutti gli scrittori.
Mi pare che nel tuo L’uomo di spalle, di generi ne mastichi parecchi.
L'uomo di spalle è stato anche un tentativo di definire i recinti del genere di cui ti parlavo e di scavalcarli con un nitrito beffardo. Era un periodo (o forse lo è ancora) in cui chiunque cercasse di scrivere vedeva il genere come formula alla quale adattarsi per ottenere un sicuro successo. Gente che (da collaboratore di una casa editrice posso testimoniarlo) si sforzava di fare i gialli o i noir non mostrando la minima predisposizione o interesse reale né per i primi né per i secondi. Editori che se non rientravi nei loro criteri del "genere" non sapevano come piazzarti in collana e quindi non ti calcolavano nemmeno. Questo, dopo decenni in cui la narrativa popolare veniva trattata a pesci in faccia. Mi è sembrato un controsenso e io, quando mi imbatto in un controsenso, cerco di analizzarne i perché e di riderci un po' sopra. Ma L'uomo di spalle è anche una storia compiuta.
Ha senso, secondo te, parlare di generi, sottogeneri, specie e varietà manco fossimo allo zoo della letteratura?
Nessuno. Ha senso, forse, parlare di bravi scrittori, scrittori così così, scrittori onesti e pessimi scrittori. Sei pregato di non fare battute sulla mia categoria di appartenenza.
Ecco, appunto. Vabbè...
* * *
Ri-buio in sala. Ri-comincia il film. Ri-silenzio, doveroso.
I fotogrammi si susseguono sul cinemascope, passa e ri-passa il tempo, tic, tic, tic.
Devo far pipì. Oh, mannaggia! Sul più bello, quando si scopre chi è l’assassino. Ma io il film l’ho già visto e so who is the man. Tanto non è né il maggiordomo né Harrison Ford.
Annuncio i miei propositi a Giacomo. Lui approva. Io vado. Ci sarei andato anche senza approvazione, non c’è bisogno di dirlo (ma l’ho detto).
La seduta è lunga perché la cerniera non risponde ai comandi. La battaglia è estenuante ma alla fine ne vengo a capo. Rischio anche una decapitazione accidentale. Insomma, perdo tempo, tanto che quando torno in sala il film è ai titoli di coda.
Appena riprendo posto accanto a Giacomo s’accendono le luci.
Non un secondo di più, neanche il tempo di dire A, che si leva la voce teatrale dello scrittore noir in erba o imberbe – Oh mio Dio! Mirella! Svegliati, oh Cristo, ma non respiri!
Ecco, lo sapevo, possibile che non mi riesce di intervistare qualsiasi scrittore senza che ci scappi il morto?
- Porterò sfiga? – impreco tra i denti.
Cacciatore risponde – Sì, porti sfiga. È gratis.
Ci avviciniamo al Pippis furioso e disperato. Quasi piange più dalla rabbia che dal dispiacere. Come attore non è male, solo un po’ troppo tanto accademico, tipo vocione simil colossal anni ’60.
- Oh, Mirella!
E daje col vocativo.
- Oh, tu, Pippis! – invoco.
Lui si blocca, e bronzeo diviene il suo volto. Alza il sopracciglio destro e dice – E tu, chi sei, o sconosciuto?
- Sono quello che ti ha stroncato l’ultimo romanzo.
- Oh, marrano!
Intanto che Pippis combatte coi suoi rictus facciali, Giacomo s’è già avvicinato al cadavere e lo esamina con occhio presbite. Arriva pure il Benfi tutto ciccia e brufoli, che si presenta come il medico del programma Stars, nonché amico personale dei due fanciulli lì presenti, di cui uno cadavere. E infatti il Pippis lo riconosce. Avevano un appuntamento al cinema ma il Benfi è arrivato in ritardo.
- Acciderboli! (Lo riporto così, l’esclamazione era un’altra) – urla Giacomo, chino sulla ragazza.
- Che c’è? – dico io.
- Che è? – dice Benfi.
- Oh, cos’è mai ciò? – dice Pippis.
- Guardate qua, sul collo – sibila sibillino Cacciatore – o qui c’è un vampiro con un solo dente o un qualche insetto col pungiglione molto grosso.
- Seh, e magari pure la Creatura della laguna! Troppi film ti sei visto.
Ad ogni modo ci avviciniamo tutti, curiosi. Ed effettivamente un buco c’è: un po’ slabbrato, da cui cola un po’ di liquido viscoso e bianco, simil pus ma non proprio uguale.
Così l’istinto guida il mio ditino verso il collo, arraffo un po’ di liquido bianco viscoso e lo assaggio nel disgusto generale – Maionese! – affermo – e pure light.
- Bé non ci resta che chiamare la polizia – afferma il Cacciatore.
E così è. Tutto secondo la prassi: scientifica, commissariato e tutto.
* * *
Uscendo dal commissariato riusciamo ad avere la conferma alla mia ipotesi: la ragazza è stata uccisa con una siringata letale di maionese Flipper Light, lo sponsor di Stars. Forse che sia un indizio, un segnale preciso dell’assassino?
- Bah, ho fame – sentenzio.
Cacciatore dice che no, dai, che è a dieta, che qua che là.
- Oh, urgh, fame! – insisto. E punto dritto ad una friggitoria che fa le panelle.
Rewind: siamo a Palermo, non l’ho detto, ma era evidente, Cacciatore è palermitano. Le panelle, bé, come descriverle? È la cucina povera (ma povera, veramente, è pasta di ceci fritta) elevata a poesia. Palermo poi, no, non è quella della TV. Scordatevela.
A proposito, mentre ingurgito le mie panelle innaffiate da birra fresca, faccio qualche domanda al Cacciatore.
Sei nato a Polistena (Reggio Calabria) ma da sempre vivi a Palermo. Strana emigrazione. Sei lo scrittore più terrone d’Italia. In che misura e in cosa, secondo te, l’essere terroni influisce sulla scrittura? Sulla prospettiva, sui temi... E poi cosa ne pensi del regionalismo nella letteratura di genere e dei suoi cantori?
Se è per questo, mia madre è di Catania ed è cresciuta a Tripoli, il "bel suol d'amore" del primo dittatore calvo… Essere terroni come segno distintivo nella vita e in letteratura? Non lo so. È un'idea che in parte tendo a rifiutare, anche perché noi del Sud abbiamo un po' la fissazione di questa nostra presunta particolarità: è una forma di difesa, credo, che come tutti gli atteggiamenti difensivi spesso sconfina nello snobismo. Sono pure dell'idea che gli anni più importanti della vita di una persona, e quindi persino di uno scrittore, siano i primi sei. Io da queste parti a cinque anni vedevo mia zia che faceva a mia cugina ragioniera il "piattino" con l'olio, l'acqua e il sale contro il malocchio. E quando ne avevo proprio sei, un nostro vicino di casa (diuturno bestemmiatore) è sparito una mattina di venerdì Santo sotto una parrucca lunga fino alle caviglie e si è messo a portare una croce in processione, a piedi nudi, pregando che Cristo gli facesse tornare a casa il figlio emigrato. Da grandicello: il primo pub a Palermo è arrivato alla fine degli anni '80 e i primi punk hanno cominciato ad aggirarsi quando Johnny Rotten era ormai bollito. Non si può certo dire che a un ragazzino, da noi in Terronia, mancassero spunti di riflessione e qualche dubbio esistenziale. Dopo di che: o si diventava impiegati alla Regione, o criminali, o peggio ancora, ci si buttava nell'arte. Questo, probabilmente, prima che arrivasse la televisione ecumenica di Maria, Costantino e dei grandi fratelli, che tutto uniforma unisce e appiana verso la materia bruta, da Nord a Sud.
Il regionalismo mi interessa solo come sfaccettatura un'idea universale. Ma se diventa l'unica ragione d'essere di un'opera, si trasforma in un grosso limite.
Hai mai notato che nelle pagine targate Terronia scorre sempre l’ironia o il sarcasmo? A cosa è dovuto, in your opinion?
Ai contrasti. Ne abbiamo più noi di una qualsiasi cravatta di Mike Buongiorno. L'ironia diventa un modo salvifico per dare un nome a cose che non si possono spiegare e che altrimenti sarebbero terribili.
Palermo, testo libero.
Grandi contrasti, pigra ironia, autoironia latitante. Siamo poveri e superbi. Sappiamo fare tutto e meglio di tutti. Siamo astuti. Poi votiamo come votiamo. E ci crediamo ancora astuti. Ma Palermo è anche il mercato storico. Il suk. Capo, Ballarò, Vucciria. Persino i nomi sono una musica strana. Secondo me Edgar Allan Poe è stato da queste parti. In gran segreto. E dopo ha scritto "Re Peste". Ma alla fine dei suoi giorni era troppo ubriaco per confessarlo a qualcuno. O forse, passando per la zona nord di Palermo, ha visto di sfuggita la caduta di qualche casa Usher di troppo e i palazzi a dieci piani che ci hanno costruito sopra. Inumazione prematura di una villa storica. Forse ha preferito dimenticare. Nemmeno un cuore rivelatore a sbugiardare il misfatto, nei paraggi.
Credi che la TV ne dia un’immagine veritiera?
Tu mi provochi sapendo di provocarmi. (Noooo, scherzi? NdA) La televisione di oggi fa schifo. Se fossi un moralista ti direi che è immorale. Te lo dico lo stesso: è immorale. La verità può anche essere violenta, ma non è mai volgare. E allora che c'entra la televisione con la verità?
In che rapporti sei col “grande capezzolo”?
Ho comprato un videoregistratore dvd. Ho il satellite. Fanno dei bei film. Li registro, sono a quota duecento dischi e più, e spero di vedermeli tutti un giorno. Mi piacerebbe avere tre vite solo per questo.
E di programmi tipo Stars che ne pensi?
È stato uno dei punti più risolutivi del famoso contratto con gli italiani. Un modo brillante per falcidiare la disoccupazione giovanile e levare dalla testa dei ragazzini un concetto ormai fuori moda: che bisogna lavorare e studiare per vivere. Vedi, la figlia del panettiere sotto casa mia è un'aspirante Stars. Non vuole più fare le mafalde. Si è tagliata i capelli con il pelapatate, va a danza con la tuta a vita bassa e studia recitazione da autodidatta, vedendo cinque volte al giorno "Gli Aristogatti". È diventata molto maleducata, non saluta nessuno, ma in compenso canta discretamente "All night long" e "Brava!". D'altronde siamo un popolo di Santi, navigatori, poeti, Lionel Richie e Mine vaganti.
Totale panelle ingurgitate: quattordici. Totale litri di birra in circolo: tre e mezzo. Ne ho abbastanza. Saluto Giacomo. Mi ritiro in albergo a deliberare.
* * *
Cosa succede dopo?
Succede che passo una nottata in bianco seduto sul cesso. Fritto + birra = lo lascio indovinare a voi. Così ho il tempo di meditare, molto tempo per meditare. Dunque, la giovane Mirella, futura stella, è stata accoppata mentre provvedevo alle necessità idrauliche del mio basso ventre. In sala c’erano solo Cacciatore, dottor Benfi amico della vittima ivi presente e del Pippis, scrittore.
Il Cacciatore ha motivazioni intellettuali per l’accoppaggio, Benfi ha la professionalità nell’uso della siringa, Pippis, bé, può avere mille ragioni per procedere all’uso della maionese letale: colleghi, lavoravano accanto tutti i giorni, concittadini.
Tutti possibili assassini.
Bene, comincio dal primo. Il mattino seguente lo interpello telefonicamente.
- Giacomo Cacciatore: Thou art the man, sei tu il colpevole.
Lui ride, per dieci minuti di fila. Poi mi informo che il dottor Benfi si è suicidato impiccandosi con la corda di una provola.
Pippis, penso, altro che suicidio.
- Sai, dove abita, il Pippis?- chiedo.
- Come, no? Lo sa tutta Palermo dove abita – risponde.
- Bene, ci vediamo tra un’ora sotto l’albergo.
- Non sei pronto prima?
- No, ho da fare.
E chiudo la comunicazione. Scappo sul mio trono meditativo, ma non ho il tempo di pensar niente.
* * *
Abbiamo legato il Pippis a una sedia. Entrare nel suo appartamento non è stato difficile, è bastato spacciarci per due fan dalla vocina esile. Lo scrittore ci guarda con occhio bovino. È imbavagliato con nastro isolante da elettricista a tripla colla. Forse, visto i romanzi che scrive, dovremmo prosciugargli le penne o prendergli a martellate gli hard disk piuttosto che negargli la parola. Ma è tutto una tattica precisa. Mi apparto col Cacciatore.
- Allora – dico – io faccio lo sbirro cattivo e tu fai quello buono, ok?
- Ma è una tecnica vecchia come il cucco!
- Oh!
- Eh?
- Ih, così ho deciso, così si fa.
Tant’è che facciamo veramente così.
Leviamo il nastro dalla bocca del Pippis. La ceretta è subitanea e tremendamente dolorosa. La vittima lancia un urlo da animale al macello. I suoi occhi bovini cominciano a lacrimare. Mi accendo una Nazionale senza filtro aromatizzata al baccalà stagionato. La puzza è immonda. Il Pippis soffre. Soffre così tanto che confessa subito – L’ho uccisa io! L’ho uccisa io – urla.
- Non è vero! – rispondo sparando la battuta che mi ero preparato da un po’.
Il Cacciatore è alquanto perplesso. Gli lancio uno sguardo della serie “Fa’ il poliziotto buono”. Lui afferra al volo: asciuga le lacrime del Pippis. Oh, cacchio! Sbirro buono, non infermierina! Mi è saltato l’escamotage, penso. Ma funziona. Il giovane virgulto prende coraggio e confessa – L’ho uccisa io, sì.
- Uài? – dico.
- Cosa? – dicono gli altri due in contemporanea.
- Uài: oh, ma non conoscete l’inglese? Uài: perché?
- Perché avevo fatto una sfida con me stesso.
- Eh? – questa volta sono io alquanto perplesso.
E qui il Cacciatore sfoggia le sue abilità di giallista, rispondendo al posto dell’inquisito – Ma certo! Ci sono: consapevole del fatto che i suoi romanzi sono ormai di una stronzaggine colossale, per quanto vendutissimi - tutti i lettori indovinano l'enigma a pagina venti - ne ha dato uno in lettura alla ragazza come ultima controprova della propria nullità.
- Sì – interviene il Pippis – ha ragione. L’ho dato a Mirella, il manoscritto dico, perché era l’amica più vicina che avevo. E anche la più deficiente. Volevo vedere se indovinava l’enigma subito pure lei.
- E ci è riuscita? – chiedo.
- Sì – risponde – a pagina dieci.
Ridiamo per mezz’ora.
Così il Pippis, per quanto sconfitto, non ce l’aveva fatta a smettere di scrivere le sue me... le sue opere. Meglio uccidere la causa della sua somma frustrazione.
* * *
Dopo aver assicurato l’assassino alla giustizia, Giacomo mi accompagna in albergo. È tempo di saluti. E di un paio di domande finali.
Cacciatore, progetti per il futuro?
Nell'immediato futuro finirò la revisione del mio secondo romanzo. Esce per Einaudi agli inizi del 2007. Ma non mi sono tagliato i capelli con il pelapatate perché accadesse. Poi riposo. Magari smettere di fumare e perdere una decina di chili. Poi scrivere ancora, che forse è più facile.
Vuoi salutare qualcuno?
Ciao mamma!
Ci accomiatiamo. Giacomo si allontana. Ma qualcosa gli è caduto dai pantaloni. Faccio un paio di passi avanti e mi chino a raccoglierla: è un campione omaggio di maionese Flipper Light.
Parararà-parà / parararà-parà / pa-papara pa-papara / pararararà.
Non l’avete riconosciuta? È la musichina del vecchio Hitch.
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