Una vedova dell’alta borghesia romana viene ricattata da uno sconosciuto, un investigatore privato viene ucciso in pieno giorno davanti a tutti, un critico d’arte viene trovato morto ammazzato e intanto politici corrotti, servizi segreti deviati ed eminenze grigie completano giocose il loro balletto di morte e mistero. Su tutto questo viene chiamato a indagare Marè un vicequestore della polizia romana, serafico e indolente, disilluso ma perspicace, si aggira fra i vicoli della capitale sempre pronto a fare domande, sempre pronta ad annà a rompe li…
e così passo dopo passo, pezzo dopo pezzo, il mosaico prende forma, ma la realtà che ne viene fuori lascia senza fiato e lo stesso Marè è il primo a rendersene conto.
Quello di Mario Quattrucci è un personaggio memorabile, un po’ Philip Marlowe, un po’ tenente Colombo, tignoso e perspicace come solo un romano può essere, sempre vigile e tagliente come una lama nonostante le apparenze. Appassionato della buona tavola e del buon Marsala, Marè/Quattrucci ci guida in una Roma che coinvolge ed affascina, che turba con la sua sconvolgente bellezza ed intriga con le sue trame segrete. In alcuni momenti sembra di essere trascinati in un’altra Roma famosa, quella del Segno del comando (indimenticato e indimenticabile).
La scrittura di Quattrucci è complessa e ricercata. Falsamente colloquiale è invece un attento lavoro stilistico, che, caso più unico che raro, invece di appesantire la narrazione, la esalta e arricchisce. Le considerazioni di Marè, i brani in romanesco, le citazioni del Belli, i commenti estemporanei, i salti temporali, tutto si incastra perfettamente in una struttura che avvince il lettore, che lo lega al libro e al suo protagonista e pagina dopo pagina si entra sempre più nella vicenda, fino ad avere l’impressione di passeggiare a fianco di Marè, mentre riflettendo sull’ultimo omicidio si va verso Memmo per un piatto di Manfricoli al vin santo. E così i vicoli, i palazzi, il mercato di Porta Portese, il questurino di guardia, l’amico ristoratore, le bancarelle a Campo de Fiori, tutto, ma proprio tutto sembra essere parte indispensabile di questo affresco di una città e della sua gente, perché forse proprio Roma e i suoi abitanti (Marè compreso), sono l’ennesimo e più affascinante protagonista del romanzo.
Ma Una vedova per Marè, in modo garbato ma deciso, è anche un atto di denuncia della corruzione e delle losche trame che per decenni hanno avvolto il nostro paese come un'inestricabile tela di ragno. E l’autore nel finale cerca proprio di squarciare questo velo di indifferenza e silenzio con una conclusione della vicenda, che poggiandosi su una nutrita bibliografia di documentazione, cerca di sollevare più di qualche dubbio, di smuovere più di qualche coscienza… e spesso ci riesce!
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