Un destino infausto di stroncature frettolose e oblio mediatico ha colpito Il siero della vanità (2004), opera seconda del promettente Alex Infascelli - già autore di Almost Blue, 2001, dall’omonimo romanzo di Carlo Lucarelli.
Il siero della vanità ha un impianto thriller che sfuma progressivamente in tonalità grottesco-surreali. La pellicola propone allo spettatore una significativa galleria di protagonisti del sottobosco tv dell’Italietta di oggi.
Una ex poliziotta in crisi esistenziale, dopo essere rimasta ferita a una gamba e nell'anima dall’omicidio di un collega.
Una ragazza resa cocainomane dallo show business, dal quale pure continua a elemosinare apparizioni.
Un mago che, sprecata l'occasione offerta da mamma tv, precipita nell'ossessione di ricreare quella puntata dello show, mediante rapimento di tutti gli ospiti.
Un grasso gay che fa il toro scorreggione in un programma per bimbi.
Uno pseudo-psichiatra che colleziona presenze tv su casi di cronaca nera.
Una cantantucola senza talento.
Tutti i personaggi sono oppressi da una cappa di squallore, su cui l'algida conduttrice (un'ottima Francesca Neri, al suo meglio da anni) pone la mano “amorevole” della tv. Esistenze inutili, solitudini incolmabili, bassezze quotidiane: ognuno pensa a sé, nel tentativo di accaparrarsi l'ultimo applauso del pubblico.
A proposito di pubblico, Infascelli ne rappresenta la stupidità nella scena in cui gli spettatori del Sonia Norton Show in pochi minuti passano dagli osanna agli insulti per il criminologo Michele Benda. Mentre il tizio che ne smaschera le strampalate teorie - tal Matteo De Muzzi - viene coccolato dalle urla della folla eccitata.
Le atmosfere crescono di peso grazie alle ritmiche ipnotiche di Morgan dei Bluvertigo. La tavola dei colori è sporca e macchia di luci violente queste vite in cerca un po' di pace o di successo (fotografia di Stefano Ricciotti). Il materiale di base aveva già una firma di valore: il soggetto è di Niccolò Ammaniti, che ha collaborato anche alla sceneggiatura con Andrea Manzini.
Il cast. Su tutti spicca, come detto, la Neri. Margherita Buy/Lucia Allasco zoppicante non eccelle come in altre occasioni, ma restituisce l'instabilità della poliziotta. Grande mestiere e sicurezza espressiva per un Valerio Mastandrea/Franco Berardi, recuperato a un ruolo (ispettore di polizia) all'altezza delle sue potenzialità, non ancora del tutto esplorate. Misurata la Bobulova, ben assortito lo stock dei caratteristi: da Marco Giallini a Luis Molteni, a Ninni Bruschetta, ad Adriana Faranda.
Naturalmente non tutto funziona. La recitazione non è sempre fluida. La componente thriller sbanda vistosamente. Non esiste simmetria tra le dramatis personae: alcune sono discretamente approfondite (la poliziotta, la showgirl), altre appena tracciate (la cantante).
La regia di Infascelli, per troppa generosità, scivola e non raccoglie gli spunti dello script: sarebbe stato bene togliere ridondanze digitali, asciugare i movimenti della mdp superflui e sintonizzare lo stile su alcune idee stimolanti (in particolare, la contaminazione tra immagine cinematografica e video televisivo).
A tratti il gioco è troppo scoperto, con rimandi espliciti alle maschere del palcoscenico tv nostrano. Ma per quanto ce ne lamentiamo è l'Italia: vuota di umanità, luccicante di paillettes.
Infascelli merita credito. Con il Puglielli di Occhi di cristallo, il Placido di Romanzo criminale e il Soavi di Arrivederci amore, ciao segna il ritorno a un cinema poliziesco italiano, che mantiene i contatti con una letteratura noir sempre più matura (Di Fulvio, De Cataldo, Carlotto).
La vitalità del regista è confermata dal lancio del terzo film, H20dio (2006), storia della follia in cui precipitano cinque ragazze all’interno di un isolato parco giochi.
H2Odio si segnala per la singolare distribuzione scelta dalla produzione: il film non va in sala, ma è distribuito in edicola con le testate la Repubblica e L’Espresso (al prezzo di 12,90 euro) o via web (al prezzo di 4,90 euro e in un formato che ne consente sei visioni.
Una scelta attenta alle dimensioni del cinema, come macchina sociale che muta le dimensioni del consumo e le interazioni ad esso connesso. Potremo valutare i risvolti di questa strategia solo tra un po’, se e quando sarà seguita da altri tentativi. Siamo in presenza di un tentativo di risposta alla crisi del cinema italiano. Ma si tratta anche di una presa d’atto delle trasformazioni che l’immagine in movimento sperimenta con l’affermazione dei new media.
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