Si sentì forzata a obbedire e si chiese quando era stata l’ultima volta che si era trovata in una simile situazione di dipendenza nei confronti di un uomo. Se mai era successo, di certo era passato molto, molto tempo. Prese il piatto e notò che non c’erano posate. L’acqua nella ciotola doveva servire per lavarsi mani. Si sciacquò le dita, poi prese un po’ di riso e di foglie verdi e se le portò alla bocca. Il cibo era ancora caldo e moderatamente piccante e si rese conto di avere fame.

Finì di mangiare che era ormai scuro. La donna era ritornata, portando una coperta e una grossa torcia d’alluminio.

«Questa è Zaharinan», disse l’uomo. «Le mostrerà dove lavarsi e passerà la notte con lei. Mi dispiace, ma dovrà legarla di nuovo».

Fu sul punto di dirgli di non preoccuparsi, che non c’era problema, ma si controllò e si limitò a stringersi nelle spalle. Si stava adattando rapidamente a una nuova realtà e il fatto che in qualche modo si stavano prendendo cura di lei le diede maggior conforto di quanto avesse sperato. Il pensiero che, se le cose non fossero andate a quel modo quel mattino, adesso sarebbe stata probabilmente in albergo a farsi una doccia calda prima di passare al bar per un cocktail le lampeggiò brevemente nella mente e si dissolse.

L’uomo si avviò verso la porta.

«Chi è lei?», gli chiese di nuovo, senza molte aspettative, un attimo prima che lui uscisse.

L’uomo si fermò e si voltò, il piede già oltre la soglia.

«Il mio nome non ha importanza».

Restò a guardarlo, a occhi sgranati, aspettando che aggiungesse altro, ma l’espressione dell’uomo si era fatta dura. Dopo qualche attimo si voltò e uscì.

4

La band suonava sotto un tetto di paglia, sostenuto da quattro tronchi di palma. Un pavimento di piastrelle rosse fungeva da pista da ballo e da pedana per la batteria e le casse. L’ambiente era illuminato a malapena da una decina di lampadine da cinque watt appese alle travi che sorreggevano il tetto. Era una formazione classica, batteria, basso e due chitarre e il loro repertorio era quasi esclusivamente composto da hit degli anni sessanta e settanta.

Eravamo seduti a gambe incrociate sull’erba, sotto le palme da cocco, e la luna faceva abbastanza luce da permettermi di vedere in faccia i tre indonesiani di fronte a me che stavano fumandosi una canna.

C’era abbastanza gente per gli standard di Kuta, fra quelle sedute a gruppetti sotto le palme e i coraggiosi che ballavano sulla pista, ma gli stranieri non erano molti: un gruppetto di surfisti australiani che avevo incontrato durante la cena, un ragazzo biondo, alto e smilzo, che sembrava svedese e risultò essere brasiliano, una giovane coppia che parlava tedesco, tre ragazze giapponesi e due o tre occidentali di provenienza indefinita. Tutti gli altri erano locali, sasak, o comunque indonesiani, giovani uomini con i capelli lunghi, che sorridevano e ridevano di continuo, mettendo in mostra file perfette di denti bianchi.

E poi c'era la RBR, ovvero la ragazza dal bikini rosso. O RBG, red bikini girl, per José che ormai si esprimeva più in inglese che in italiano. Sette anni di Australia fanno questo e altro.

Non che la RBR, o RBG, che dir si voglia, fosse ancora in bikini, ma del rosso addosso ce l’aveva ancora, una camicia di seta che le stava d’incanto, sopra a un paio di jeans bianchi. Era a piedi nudi e i suoi capelli erano come un’aura che ondeggiava al ritmo della musica. Era l’unica donna a ballare, circondata da una ventina di uomini, fra cui José Luis che la marcava da vicino.

La band non era male. Dopo un falso inizio, il batterista e la chitarra solista si erano scambiati di ruolo e da quel momento tutto era migliorato.

Aji, un veterano dei surfisti locali, vera leggenda fra le onde, mi passò il joint tossendo. Lo presi, aspirai un tiro e lo passai subito al vicino.

Aji mi diede un’occhiata preoccupata.

«Why you no hard smoking man tonite?», disse nel buffo inglese quasi privo di articoli e di verbi dei sasak. Perché fumavo così poco.

«Ho bevuto troppo la notte scorsa. Ho bisogno di disintossicarmi».

«Questa roba mica fa male», insistette.

«Solo un idiota potrebbe dirlo».

La band attaccò Downunder, richiamando ancora più gente sulla pista. José e la RBR erano particolarmente scatenati, ma prima che arrivassero alla terza strofa andò via la luce e per qualche secondo si sentì solo la batteria. Poi tutti scoppiarono a ridere e a battere le mani, e cominciarono ad abbandonare la pista. Un secondo dopo, José e la ragazza mi si sedettero a fianco.