Aveva poco da offendersi. Se proprio ci teneva a non essere preso per un ozi, perché si ostinava a infarcire la parlata di espressioni australiane? Cercai di ingoiare un sorso della mistura, ma il sapore mi nauseò. Il che non era troppo sorprendente, dopo una nottata passata a bere sul ponte di quella maledetta barca. Gli restituii la bottiglia.

«Giusto. Me ne ero dimenticato. Immagino che sia un vero passaporto, non come l’ultima volta – cos’era, messicano? O colombiano?».

«Spagnolo. No, più autentico di così si muore. Adesso sono cittadino australiano a tutti gli effetti, almeno sulla carta, e il governo italiano può andare a farsi fottere. Perché me lo chiedi? Se hai qualche altra stupida idea come quella che hai avuto in Messico, non voglio nemmeno sentirla».

Non dissi nulla. Mi limitai a guardarmi intorno alla ricerca di un oggetto contundente, ma non vidi nulla, salvo lo stereo Panasonic che però stava suonando Sinnerman, uno dei pezzi migliori di Nina Simone e, in assoluto, uno dei miei favoriti. Per cui sospirai, appoggiai la schiena alla parete della cabina di poppa e chiusi gli occhi, cercando di ignorare il gracchiare della voce di José.

«Rilassarsi è importante. Sai qual è la prima causa di morte, in Australia?».

«Non ne ho idea», borbottai senza aprire gli occhi. «Non ancora, almeno».

«Stress. Infarto e cancro sono entrambi collegati allo stress. Per cui, rilassati. Ma guardati, santo dio. Sei qui, nel bel mezzo del nulla, e ancora ti preoccupi della tua situazione a Singapore. Non ti hanno rinnovato il permesso di soggiorno, e con ciò? Troverai un altro posto per vivere e chi ti dice che non sia meglio?».

Lasciai che la testa mi ciondolasse sul petto, fingendo di dormire. È un trucco che spesso funziona. Ma non con José. Proseguì senza dare cenno di voler smettere.

«Guarda me. Sono in un tipico comma 22. Non posso aggiustare il motore perché non ho soldi, ma se non aggiusto il motore non posso lavorare e fare i soldi per aggiustarlo. Eppure non me ne frega più di tanto. E sai perché? Perché ho imparato a rilassarmi. Ci sono questi esercizi di respirazione che mi ha insegnato Dragica e che sono efficacissimi…».

Mi decisi a malavoglia a riaprire gli occhi. In fondo alla baia, due piroghe con bilancieri di bambù galleggiavano come sugheri sul dorso delle onde. A una dozzina di metri dalla prua della barca, un corpo in un bikini rosso scivolò sul pelo dell’acqua battendo un crawl cadenzato. Sulla spiaggia, una bambina con in testa un cesto fece capolino dai cespugli, e si allontanò rapidamente. Per il resto, non c’era nessun altro segno di vita in vista.

«Dimmi una cosa», mormorai.

Smise di parlare di botto e mi guardò, come stupito che intervenissi attivamente nella discussione.

«Yeeh. Cosa?».

«Quanto guadagnavi prima che si guastasse il motore?».

«Cosa vuol dire quanto? Ogni giorno è diverso, dipende da una serie di fattori…».

«In media?».

«Be’, sai com’è, non è che ci sia molta gente che viene qui, non ancora, ma aspetta solo un paio di anni e…».

«Esatto».

«Esatto? Cosa vuol dire esatto?».

«Vuol dire perché dovresti sbattertene, ecco cosa vuol dire. Non c’è in giro un cane».

«Be’, siamo anche in ottobre…».

«Quando sono arrivato era agosto, ed era esattamente la stessa cosa, cioè il deserto. Che differenza fa che il motore funzioni o no? Non riusciresti a lavorare comunque».

Restò zitto per un po’. Era in piedi, intento a contemplare un punto della spiaggia con un’espressione legnosa sul viso.

«Per la verità qualcuno c’è», mormorò alla fine a bassa voce.

«Cosa?».

«Sulla spiaggia. C’è una persona».

Fu il tono incerto a risvegliare la mia attenzione. Mi alzai in piedi e gli andai a fianco.

E il fiato mi si mozzò in gola.

La donna col bikini rosso aveva raggiunto la riva e si era alzata in piedi. Sembrava la scena culto del più classico dei James Bond d’annata. Ursula Andress che esce dal mare in Doctor No.

Poteva avere venticinque anni, o poco più, e aveva il corpo più voluttuoso che avessi mai visto. Gambe lunghe e affusolate, spalle e fianchi larghi, contrastati da una vita sottile a formare un insieme morbido e sinuoso. E un seno fermo e rotondo che gonfiava il tessuto rosso del bikini. Aveva capelli lunghi e arruffati, castani, o forse biondi, difficile stabilirlo quando i capelli sono bagnati, e un viso che sembrava scolpito sul legno, aggressivo quanto bastava a scuotermi le viscere. Era una piacevole novità. Non ricordavo l’ultima volta che avevo provato un fiotto di desiderio così puramente animale per una donna, ma non importava. Mi stava facendo sentire di nuovo vivo e questo mi bastava.