Running, di Wayne Kramer, uno strano prodotto a metà tra un thriller e un pulp, anzi un pulp-thriller con al centro una pistola rubata (o comunque una pistola che finisce nelle mani di chi non dovrebbe e il cui recupero si dimostrerà tutt’altro che semplice…). Da solo il tema, quello della pistola rubata basta e avanza per far sbizzarrire schiere di sceneggiatori e di registi. Dici pistola rubata e alla mente tornano il Kurosawa di Cane randagio, il Johnnye To di PTU (per inciso uno dei capolavori noir del cinema di Hong Kong), e l’interessante, al punto da poter essere nominato accanto ai due grandi precedenti, P. T. Anderson di Magnolia (però in questo caso la pistola scomparsa era solo un rivolo in un fiume di storie…).

Al centro, si è detto, una pistola che non sta più dove dovrebbe stare, ma tutto attorno?, cosa c’è tutt’attorno? Tutt’attorno impazzano sparatorie (la prima, in apertura, giocata per intero sul contrasto tra luogo piccolo e volume di fuoco enorme, un saggio di rara confusione balistica dove non sempre si capisce bene chi spara a chi ma in compenso gli effetti dei colpi sono chiarissimi…), mentre il sangue, che scorre a fiumi, non smette di essere pesantemente presente, tanto che per smorzare un poco i toni la fotografia vira nettamente verso il viola (dove Tarantino in Kill Bill preferì il B/N) e una pista da hockey su ghiaccio trasformata in un O.K. Corral, con l’aggiunta di uno spacciatore con sulla schiena un gigantesco tatuaggio raffigurante John Wayne (mentre la tivù manda I cowboys, con il Duca…), e una stranissima deriva narrativa con al centro marito e moglie molestatori di bambini che colti sul fatto fanno una brutta fine per mano della moglie del protagonista.

Il protagonista altri non è che Paul Walker, alle prese con un personaggio che pur giustamente preoccupato di recuperare la pistola affidatagli, riesce a esprimere, visto che si trova ad avere a che fare sia con il figlio che con un amichetto di quest’ultimo, un lato paterno che ne ispessisce il ruolo.

I due bambini, in particolare Oleg/Cameron Bright (già visto nell’affascinante ma in definitiva deludente Io sono Sean…), aggiungono a Running un tocco di ulteriore originalità, in particolare per come, calati come sono nella storia (gran parte degli snodi del plot dipendono in definitiva da loro), in un mondo violentissimo fatto di adulti che li trattano da pari cercando cioè di prevaricarli, resistono eroicamente affiancati da quei pochi adulti dotati ancora di un briciolo di pietà.

Non sembra essere poco, soprattutto a leggere le notizie di cronaca (nera, sempre più nera…).