Non c'era traccia di pentimento negli occhi verdi, ma il pia­cere del carnefice, che si trastulla con la vittima sacrificale, prima di affondare il colpo di grazia. Solitamente inferto con un morso alla gola, tra le pieghe tenere della carne. Dove le vene pulsano, presaghe di morte imminente.

Consumato lo scempio si allontanava quasi subito. Senza pro­fanare le spoglie abbandonate, tiepide di vita in fuga. Neppure si preoccupava di farne sparire le tracce. Lontano da casa come dal rimorso.

Non che cercasse le occasioni per uccidere, semmai erano queste a presentarsi spontaneamente sotto mutevoli sembianze. Non badava al sesso né alla forma; poteva essere un abito vistoso a eccitarne la voglia o un movimento leggero a scatenare l'impulso.

Palcoscenico muto dei reiterati delitti un pratone asfittico di periferia vicino alla discarica comunale. Nella luce inganne­vole del crepuscolo, quando la notte fiata sul collo al giorno e tutto sfuma: il coraggio in paura, l'amore in odio represso.

Aveva perso il conto di quanti fossero i crimini perpetrati. Lunga scia di sangue innocente, immolato alla soddisfazione ani­male.

E avrebbe continuato impunito. A sfoderare gli artigli per poi tranquillamente tornare alle proprie, oziose abitudini. Nella poco avvincente normalità di una famiglia per bene. All'oscuro della mattanza.

Ma quella dannata domenica mattina il destino decise diver­samente. La tentazione arrivò fischiettando nel cortile di casa. Un salto, una zampata cattiva e la furia omicida si abbatté sul malcapitato.

Provvidenziale risultò la reazione della convivente; testi­mone allibita di cotanta, inaspettata violenza. Il tenero compa­gno le apparve come predatore sanguinario, da castigare con la scopa. Per lo stupore incazzato del medesimo e la salvezza della preda.

Così terminò l'onorata carriera di un killer seriale, ster­minatore felice. Ingloriosamente, su di un tavolo operatorio. Nella certezza che la rimozione degli attributi maschili avrebbe per sempre inibito l'aggressività ormonale del gatto soriano.