Dal 1° febbraio, su RaiUno in prima serata, è ripreso il tradizionale appuntamento con Don Matteo, una delle serie poliziesche televisive più longeve, essendo giunta, al pari di poche altre (per esempio Distretto di polizia o Il maresciallo Rocca) alla quinta serie.
Se volessimo trovare un termine di paragone la produzione senz’altro più affine sarebbe Carabinieri (anch’essa giunta al quinto appuntamento e in onda nello stesso periodo) per un buon numero di motivi.
Innanzi tutto è assai simile l’ambientazione umbra: la serie Mediaset si svolge a Città della Pieve, Don Matteo più a est, a Gubbio, entrambe però in incantevoli cittadine che garantiscono quel clima provinciale così consono alla commedia all’italiana.
Poi c’è la scelta, quasi obbligata, di affidarsi all’Arma per rappresentare le forze dell’ordine: ma non quella asettica di RIS e neppure quella screziata di bonomia di Il maresciallo Rocca, quanto piuttosto quella, più vicina alle barzellette che alla realtà, dei vecchi film con Vittorio De Sica e la Bersagliera (non a caso in una puntata di Don Matteo appare sulla parete di un ufficio della caserma un disegno che ricorda i protagonisti di quei film).
Infine, nella solita miscela giallo + commedia che caratterizza i nostri polizieschi di prima serata, c’è stata l’opzione decisa per quest’ultima con risvolti persino farseschi nelle (dis)avventure dei vari militi alle prese con casi professionali e personali.
Naturalmente la diversa collocazione delle due serie (entrambi sulle reti ammiraglie dei rispettivi network, ma RaiUno, da sempre, deve garantire un maggior controllo su testi e situazioni) e l’opposta scelta produttiva (in Don Matteo i personaggi principali sono rimasti negli anni gli stessi mentre in Carabinieri c’è stato un robusto turnover) hanno poi marcato le differenze.
Affidarsi a un attore come Terence Hill nei panni del prete-detective ha condizionato per esempio l’immaginario del telespettatore: vederlo inforcare la bicicletta (e solo chi non conosce bene Gubbio coi suoi letali saliscendi può ritenere credibile questa vistosa anomalia) e andare in cerca di cattivi da redimere prima di consegnarli alla giustizia, fa subito venire in mente non tanto e non solo i suoi trascorsi western in groppa all’inseparabile cavallo quanto il don Camillo post-Fernandel che anni fa l’attore interpretò in verità senza troppa fortuna.
La presenza di un prete su RaiUno limita poi le arditezze erotiche (si fa per dire) che si può concedere la serie rivale su Mediaset: quindi inciuci sentimentali ridotti al minimo indispensabile e introdotti solo con la quarta serie quando è apparsa all’orizzonte il sindaco Laura (l’attrice Milena Miconi, guarda caso in transito proprio dall’harem di Carabinieri) che ha fatto perdere pian piano la testa al locale capitano dell’Arma.
Così nel tempo si sono stabilizzati due triangoli affettivi: in canonica don Matteo con la sua perpetua Natalina e Pippo; in caserma con il capitano Anceschi (interpretato da Flavio Insinna), la già citata sindaco e il maresciallo Cecchini (Nino Frassica).
E così sullo sfondo di una collina umbra sempre molto telegenica e al servizio di intrecci polizieschi non sempre impeccabili, finiscono per rimanere nella mente dello spettatore soprattutto il buonismo ingessato del protagonista, affidato soprattutto al suo sguardo ceruleo, e i battibecchi tra il sindaco e il capitano e tra quest’ultimo e il suo maresciallo che hanno i loro archetipi, appunto, nella stagione d’oro della commedia anni Cinquanta.
Occorre però riconoscere a Don Matteo, rispetto a Carabinieri, una sostanziale innocuità di fondo nella sua visione consolatoria del reale dove tutto si aggiusta solo perché così vuole il pubblico angosciato da casa; e un livello decisamente più alto nella recitazione affidata invece, sulla rete rivale, più a esuberanze ghiandolar-mammarie che a una dura gavetta.
Ci sentiamo quindi, nello spirito della serie, di impartire una paterna assoluzione nella convinzione che Don Matteo, proprio come un buon bicchiere d’acqua, non ha mai fatto danno a nessuno: e, se proprio non gradito, se ne va via in poco tempo senza lasciar traccia.
Voto: 6
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