Si era tra la fine degli anni '70 e l'inizio degli '80: Paul Auster era allora un giovane che svolgeva mille lavori diversi per sbarcare il lunario e vedere se sarebbe riuscito a diventare uno scrittore affermato; inventò per esempio un gioco di carte legate al baseball. Tra tali lavori vi fu anche la creazione di questa breve detective novel, un romanzo scritto sotto lo psudonimo di Paul Benjamin (Benjamin è il secondo nome dell'autore) e che Auster stesso considera poco più che un espediente per raggranellare qualche quattrino. Eppure Gioco suicida riveste qualche interesse sia per gli appassionati di hard-boiled sia per chi già conosce Auster e la sua prosa particolarissima.
Il protagonista della storia si chiama Max Klein ed è un investigatore proveniente direttamente dalla "scuola dei duri": un uomo onesto e incorruttibile, cinico al punto giusto, capace di incassare cazzotti come nessun altro e di rialzarsi ogni volta più determinato a chiudere il caso.
La vicenda ha inizio quando un famoso ex giocatore di baseball contatta Klein dopo aver ricevuto una lettera minatoria. L'uomo ha perso una gamba anni fa dopo un misterioso incidente d'auto e ora sta per scendere in politica: di certo ha molti motivi per temere realmente per la propria incolumità e non attribuire la lettera semplicemente al delirio di un fan impazzito. Se poi ci si mette di mezzo anche un boss mafioso, in pensione ma non per questo meno pericoloso, il quadro si fa ancora più teso.
Il romanzo è sostenuto da una prosa scorrevole e immaginifica, dialoghi ironici al fulmicotone e una schiera di personaggi efficaci e indimenticabili: l'investigatore privato duro e puro, il politico corrotto, gli scherani del boss mafioso, il poliziotto rude... tutte figure che colpiscono il lettore e risultano particolarmente efficaci all'interno della storia, rendendo la lettura di questo romanzo estremamente compulsiva.
Poi a un certo punto il romanzo termina. Proprio così. Finisce ex abrupto, nel pieno di un climax. Si gira l'ultima pagina ma proprio non c'è nient'altro, se non la quarta di copertina.
È un po' una delusione, all'inizio, ma non ci si dovrebbe stupire più di tanto. Gioco suicida è un romanzo aperto, con un finale sospeso e lasciato alle interpretazioni del lettore (anche se il titolo può fornire una chiave di comprensione). Si possono già riconoscere chiaramente la poetica e lo stile di Auster; si tratta in un certo senso di un "prequel", almeno nel senso artistico del termine, della trilogia di Città di vetro. Prima di scrivere dei gialli postmoderni bisogna prima saper comporre un romanzo che segua con rigore le regole del gioco: e in Gioco suicida l'autore dimostra di essere perfettamente in grado di confezionare un efficace hard-boiled, per quanto già arricchito dal suo stile surreale.
Un romanzo dunque consigliato a tutti, in particolare ai fan di Paul Auster che vogliano godere di un importante tassello per ricostruire il percorso letterario dello scrittore newyorchese.
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