La terra, ossia 3 fratelli più 1 per dislocazione geografica (3 al Sud più 1 oramai da molti anni al Nord), e 4 fratelli 4 come cultura e mentalità: Luigi/Fabrizio Bentivoglio, l’intellettuale, professore di filosofia, Emilio/Emilio Solfrizzi, il commerciante con ambizioni politiche, Mario/Paolo Briguglia, il tutto casa e chiesa, quest’ultima sotto forma di impegno verso il mondo dell’handicap, Aldo/Massimo Venturiello, il contadino.
A riunire Luigi agli altri tre è un’eredità da spartire, a separarli (soprattutto Emilio e Mario), interessi opposti, a cementarli per sempre (ahimé…), quel collante universale che risponde al nome di odio, indirizzato verso Tonino, lo strozzino di paese, col quale tutti, volenti o nolenti, finiranno col trovarsi ad avere a che fare.
Siamo da tante parti al tempo stesso; siamo dalle parti di un film fortemente maschile, eppure mai misogino, ma siamo anche dalle parti, dopo il delitto durante la processione, del whodunit e del whydunit?, del chi e del perché insomma, con l’immancabile corollario di sospetti e contro sospetti tra i fratelli.
Sergio Rubini tiene botta affidando a Bentivoglio il ruolo di anello debole della catena, all’inizio sempre un passo indietro rispetto quello che accade e altri due passi indietro dall’afferrare le cose, ma che il viaggio dentro i legami di sangue finiranno col trasformare in un maschio alpha, capace di togliere le castagne dal fuoco quando queste stanno per bruciarsi.
Pazienza poi se lo stesso Rubini gira la scena dell’omicidio con un’incongruenza non da poco (la gente fugge allo sparo ma poi è tutta intorno al cadavere), o quando, per occultare l’identità del colpevole, ricorre a uno stratagemma à la Don Matteo (o giù di lì…).
In realtà il capolavoro Rubini lo realizza affidandosi (e sfidandosi…), in un ruolo da cattivo di quelli memorabili, a iniziare da un make up che lo rende quanto mai prossimo all’irriconoscibile, una sorta di Billy Bob Torton nostrano planato in Puglia direttamente dall’Inferno. Poi procede con lo scavarsi attorno solchi di rara malvagità così da riempirli con sguardi, posture, minacce, velate e non, veramente da villain di prima grandezza (il promo del film mostra incessantemente il "pure a Milano ti vengo a pigliare" sussurrato all’orecchio di uno sconcertato Bentivoglio e seguito da un morso…).
Quattro scene gli bastano e avanzano per ridisegnare il celebre motto hitchcockiano "più riuscito è il cattivo più riuscito sarà il film" che diventa "più riuscito è il cattivo più riuscito sarà il cattivo".
Immancabile quindi, ‘sta La terra, fosse anche solo per Rubini.
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