Battaglia nel cielo: mai titolo fu così fuorviante. Già, perché se a svolgersi è una battaglia (e su questo paiono sussistere pochi dubbi…) beh, questa si svolge non propriamente nell’alto del cielo (sempre più blu…), ma quaggiù, sulla terra, dentro l’abitacolo di una macchina qualunque in fila in una delle arterie intasate di Città del Messico, dentro qualche postribolo dove la giovane Ana si prostituisce (tipo Bella di giorno, omaggio neanche tanto criptico di Carlos Reygadas al grande Buñuel che al Messico fu molto legato…), dentro qualche anonimo appartamento dove sempre Ana pratica a Carlos, suo autista e amante, sfatto, obeso, e con il doppio dei suoi anni, la tanto scandalosa fellatio (una all’inizio e una alla fine), per finire in un altro appartamento, quello dove vivono Carlos e sua moglie (sfatta anche lei…), quell’appartamento dove i due fanno l’amore né più né meno come tutti.

Qualcuno, evidentemente attirato in sala dalla fellatio di cui si è detto (e magari deluso del resto, magari dalla fellatio stessa…) ha gridato al termine di questa odissea radicale su un’umanità vicino al grado zero dell’esistenza, la frase più ovvia e al tempo stesso più tenera che possa risuonare dentro a una sala cinematografica, l’intramontabile "aridatece i sordi", frase evidentemente frutto dell’impatto di un film radicale, appunto, e altamente spiazzante, un film che dimostra al di là di ogni ragionevole dubbio riguardo un certo compiacimento scandalistico, dimostra dicevo come il regista conosca molto bene:

1. dove sia di casa il torbido e il laido declinati su una gamma espressiva la più ampia possibile (suggerisco alcune dicotomie: la bella e la bestia, la magra e l’obeso, la schiava e il padrone);

2. come fare ad attingere da queste dicotomie;

3. come, attingendo alle dicotomie di cui sopra, infondere al racconto una espressività smorzata;

4. come, infine, restituire il tutto che ne emerge depurato da ogni scoria, estraendone quella quintessenza ineffabile fatta di sangue, sudore, dolcezza, e violenza, che insieme costituiscono elementi irriducibili del fattore umano.

 

Nella fellatio, nell’amore coniugale dei due coniugi over-size, nel delitto brutale e imprevedibile, nel kidnapping che apprendiamo essersi concluso tragicamente durante un colloquio di allucinante efficacia tra i due coniugi all’interno di una stazione della metropolitana, nel processo di espiazione di Carlos che introduce nella narrazione un elemento sacro che assume rapidamente una dimensione non indifferente di fanatismo, nella metodicità ipnotica con la quale la cinepresa si sofferma sul battaglione dell’esercito che di volta in volta lungo tutto il film issa la bandiera al mattino per ammainarla la sera, metodicità che pare un vero e proprio controcanto solido e immutabile alla deriva dei personaggi, c’è tutto il fascino spiazzante di Battaglia nel cielo, un ritratto forte e intenso di un gruppo di personaggi che non può non scatenare una battaglia tra due estremi, quello dell’istintiva adesione e quello dell’altrettanta istintiva repulsione.

Fermo restando la difficoltà nello stabilire quale dei due estremi prevalga sulla sensibilità personale, Battaglia nel cielo scava e va al fondo dell’anima: usa il grottesco di Marcos e sua moglie (ma si tratta di un grottesco molto meno marcato di quello egualmente efficace di Ciprì e Maresco…) per restituire pezzi di umanità a quella stessa umanità che forse inizia a dubitare di esserlo ancora.

 

Di suo Reygadas ha dei buoni motivi per farlo; consolo ha anzitutto dalla sua parte una più che sufficiente forza evocativa attuata attraverso una potente costruzione visiva (uno stile molto ibrido e al tempo stesso rigoroso, a volte frammentato altre volte e affidato a piani sequenza di grande suggestione, altre volte ancora con una continua variazione dei punti di vista all’interno della medesima scena …). Inoltre dispone di un punto di vista morale che inizia dal basso perché sa benissimo che è dal basso che bisogna iniziare per cercare di capire qualcosa, qualcosa di vitale, sporcandosi quando serve, sudando quando è necessario, accompagnando senza giudicare mai ma non lesinando di mostrare tutto, perlomeno quello che è necessario mostrare…