In più momenti Le tre sepolture (che segna l’esordio di Tommy Lee Jones nella regia cinematografica) dimostra di voler ripercorrere per bene tutti i luoghi comuni sui film che attraverso il viaggio implicano per la loro stessa natura il superamento di una frontiera, da intendersi sia come confine esterno spaziale-geografico, di qua di uno Stato di là un altro, sia in quanto confine interno, di qua una certa vita di là una vita diversa.
Lo fa quindi (ripercorre per bene i luoghi comuni), ma con un piglio e uno stile del tutto propri. Il la alla vicenda è fornito da un fraintendimento mortale, dove allo sparo del povero Melquiades Estrada (presente nel titolo originale ma chissà perché scomparso in quello nostrano…) verso un coyote, segue uno sparo verso lo stesso Melquiades, la cui faccia da viva e simpatica diviene, tempo un istante, morta e indifferente, per poi, nella sua progressiva decomposizione-mummificazione, scandire il viaggio geografico-esistenziale dal Texas al Messico, luogo quest’ultimo dove Pete, amico in vita di Melquiades, è ben deciso a dargli degna sepoltura, la terza (la prima è stata nel deserto, la seconda in una fossa comune), con l’accortezza che quest’ultima avvenga proprio a mezzo di chi si è reso responsabile della sua morte, tale Mike, guardia di frontiera dal testosterone a mille e dal grilletto facile.
Tra gli innumerevoli significati metaforici del viaggio, viaggio quindi sono, viaggio quindi incontro, viaggio per sfuggire ad un passato che preme, e ancora, viaggio come mutazione, cambiamento, palingenesi, lo sceneggiatore Guillermo Arriga (Amores Perros, 21 grammi), conferisce a quello del terzetto verso il Messico con tanto di polizia alle costole (visto che Pete ha sequestrato Mike per obbligarlo a seguirlo) la dimensione di un vero e proprio rito di iniziazione, con Pete nei panni di guida spirituale, Mike, volente o nolente, in quelli di discepolo, e il cadavere di Melquiades nel ruolo di reliquia laica che come tale attira su di sé un sentimento di assoluta devozione (da osservare come ciò assuma a tratti una dimensione grottesca…), fornendo in cambio la forza necessaria affinché il viaggio prosegua, viaggio al termine del quale nessuno sarà più come prima (altro luogo comune certo, ma anche questo ripercorso e rivoltato per bene).
Ma nel raccontare di un viaggio da un luogo a un altro, Le tre sepolture racconta anche di un altro viaggio, quello dentro le pieghe e gli anfratti del racconto stesso. Questo secondo viaggio incastonato nel primo, pare il vero e proprio marchio di fabbrica di Arriga, che anziché raccontare in progressione i fatti preferisce distribuirli lungo un ventaglio temporale assai ampio e frastagliato, composto com’è di movimenti in avanti, indietro, di lato, dove il presente, che sembra esaustivo, non lo è, mentre il passato, che sembra passato, non è passato ancora, e infine dove ciò che è dato da vedere è solo una parte di quello che c’è da sapere, il che equivale a dire che è solo quel poco che si sa.
Tommy Lee Jones, nei panni (e nel cuoio della sua faccia…) di Pete Perkins si è aggiudicato a Cannes 2005 il premio come migliore attore. Il premio a Jones pare quanto mai meritato, non fosse altro perché alle prese con le situazioni che via via lo vedono coinvolto riesce a dar vita ad un personaggio apparentemente tutto d’un pezzo che mai si interroga su ciò che sta facendo e che semplicemente fa solo e soltanto ciò che va fatto. Eppure nel fare ciò che va fatto e a dispetto della sua impassibilità, Jones/Pete mette nella sua missione tutto l’amore, tutto il travaglio, tutta la dedizione che un essere vivente è capace di provare per le cause che si sentono, a volte senza sapere il perché, aderenti come una seconda pelle.
Ache a voler scendere nei personaggi secondari, in particolare femminili ma non solo (vedere l’anziano cieco rimasto solo nella casa sperduta), la penna di Arriga (premio anche a lui come migliore sceneggiatura) e la cinepresa di Jones risultano egualmente incisive, conferendo ad ognuno tutta l’attenzione e il tempo necessario perché si installino senza più uscire negli occhi di chi guarda.
Insomma, è quasi gioco forza dire che esistono svariati motivi per andare a vedere Le tre sepolture.
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