Francia, 1917: una bambina di dieci anni viene trovata morta in un canale. Il caso viene rapidamente chiuso, ma vent’anni dopo il gendarme che aveva condotto l’indagine riapre l’inchiesta.

Philippe Claudel con questo Le anime grigie utilizza l’impianto narrativo del giallo per raccontare una storia con diversi piani di lettura: in primo luogo, sicuramente, l’indagine poliziesca per venire a capo di un delitto tanto più efferato quanto era innocente la vittima, una bambina emblematicamente conosciuta con soprannome di Bella di giorno.

Quasi subito però il romanzo diviene il pretesto per raccontare la grande guerra dal punto di vista di chi ha una collina tra sé e il fronte, e che quindi vive il conflitto con il vago senso di colpa di chi ne è appena sfiorato: gli slanci di retorica patriottica dei festeggiamenti del primo anno di guerra o dell’amore per la bandiera e la realtà delle salme che tornano, il delirio paranoico del maestro di scuola, la vita quotidiana accompagnata dal rumore sordo dei cannoni.

In questo contesto i confini – dei sentimenti, del bene e del male, della pace e della guerra – si fanno sempre più confusi, lascia al lettore il compito di tracciarli: sempre che questo abbia un senso. E nella lettura si è portati a volerlo trovare, un senso, che sia quello dell’assurdità della guerra o quello delle solitudini dei personaggi.

“Carogne, santi non ne ho mai visti: niente è tutto nero o tutto bianco, è il grigio che la vince. Idem gli uomini e le loro anime. Sei un’anima grigia, graziosamente grigia, come noi tutti”.

Limite del romanzo è che questa narrazione parallela tende a prendere il sopravvento sulla trama investigativa che, messa in campo con grande efficacia nelle prime pagine, si stempera nella descrizione ambientale. Ciò va detto per chi è alla ricerca rigorosa di un giallo.

Se si prende questo sconfinamento come un pregio, Le anime grigie è un gran bel romanzo corale: la scelta narrativa di creare una sorta di “romanzo della memoria” permette al racconto di avere un tono elegante, malinconico, a tratti nostalgico. Claudel ha un’eccellente capacità di raccontare i personaggi, anche quelli minori, attraverso metafore folgoranti. Una tra tutte: il Procuratore Destinat è un uomo “… che amava talmente il tempo al punto di guardarlo passare e non fare altro”. Descrizioni come questa fanno continuamente irruzione nel testo, che pertanto va letto concedendosi tempo, lasciando che la bellezza dello stile si faccia sentire: la scrittura è impeccabile, leggera, non pretenziosa. Aristocratica, la si potrebbe definire.

Certo il romanzo di Claudel potrebbe non piacere a chi ama il romanzo d’azione, i ritmi serrati: lo si potrebbe consigliare a chi ama il Simenon di Il primogenito dei Ferchaux o di Turista da banane, tanto per citare dei titoli. Romanzi benissimo scritti, elegantemente lenti, che lasciano il senso amaro e soffuso della decadenza.