Uscito nel 1998, Mal’aria è per certi aspetti un’anomalia: noir essenziale, cupo, tragico eppure lontanissimo dalle ambientazioni metropolitane cui il genere fa spesso riferimento.

Ambientato nei primissimi anni del ventennio fascista ricostruiti con rigore sociale, il romanzo si snoda attraverso l’inchiesta che il protagonista Carlo Rambelli, Ispettore per il Ministero della Sanità, svolge per comprendere le cause della moria di bambini improbabile persino per zone paludose non ancora bonificate: forse un ceppo resistente di malaria, forse altro. Rambelli si scontra da subito con l’omertà contadina e con la presenza volgare e autoritaria delle camicie nere in una realtà agraria di miseria atavica.

L’apparente normalità del romanzo si estingue qui: perché la capacità – davvero notevole – di Eraldo Baldini è quella di creare in quest’opera diversi piani di lettura, che dal piano esplicito e razionale dell’indagine sanitaria scende nel racconto gotico rurale (come titola un altro romanzo dello stesso autore) fino a raggiungere il piano della superstizione popolare. Man mano si scava, man mano le paure si fanno più profonde, ancestrali: Baldini ci racconta una storia che gradatamente perde il senso comune delle cose per portarci nei luoghi acquitrinosi della paura con la maestria di chi conosce profondamente il proprio territorio ed il valore simbolico e antropologico degli elementi naturali.

Se infatti i personaggi umani sono tratteggiati, abilmente ma con pochi tratti, ciò che rende questo romanzo unico e inquietante è la presenza costante della natura come entità agente.

La mal’aria e sì, la malaria – all’epoca fenomeno non ancora debellato – ma è anche l’aria malefica che si respira; l’acqua copre le risaie ma è come se fosse la porta di accesso a un mondo “altro”, sommerso. Su tutto, a dominare, è la nebbia o la Borda, come vuole la tradizione popolare, vecchia orrida e malefica che ruba i bambini per portarli chissà dove.

Bisogna conoscere la nebbia per, come dire, sentirsi nelle ossa questo romanzo: non la nebbia urbana, addomesticata dai lampioni  e dal rumore cittadino, ma la nebbia pesante delle campagne di consistenza quasi fisica, immobile, nella quale e sotto la quale si può celare qualunque paura e qualunque fantasma che la nostra razionalità abbai voluto nascondere nei suoi anfratti più remoti.

La nebbia di Mal’aria sfuma i contorni, i confini, la verità: la realtà è, forse, solo apparente.

Non si confonda l’ambientazione rurale con un qualsivoglia intento naif: Baldini è lontanissimo da questo, con una scrittura agile e moderna ma anche elegante e accurata specie nella sua capacità di creare le sfumature cromatiche del grigio, del marrone, del disfacimento. Per quanto sia sempre difficile e per certi versi ingiusto accostare un autore ad altri, Baldini può ricordare il King migliore per la capacità di rappresentare la provincia, Lovercraft per le atmosfere gotiche, McCarthy per l’impianto narrativo e per il senso di natura potente e nemica. In realtà Eraldo Baldini è un autore originale e di vero talento.

Coerentemente al romanzo, il finale è agghiacciante, non lo si vorrebbe leggere.

Mal’aria sa creare sensazioni forti: amore, fascinazione, fastidio, paura ma è come se si percepissero appena, come se rimanessero profondamente sepolte. Sotto la nebbia.