Da mercoledì 30 novembre, per quattro settimane, su RaiDue sta andando in onda la fiction Nebbie e delitti, tratta dai romanzi gialli di Valerio Varesi, con Luca Barbareschi come protagonista nei panni del commissario Soneri.
Sgombriamo subito il campo dagli equivoci: non è questa la sede per esaminare i tradimenti più o meno volontari della miniserie rispetto alla pagina scritta a cui si ispira, anche se, lo ammettiamo, il trasferimento dell’eroe di Varesi da Parma (da dove peraltro si muove spesso e volentieri per le sue indagini) a Ferrara non ci è andato proprio giù.
Ma come? Sette anni fa con Trenta righe per un delitto proprio Luca Barbareschi fa il suo esordio nella fiction poliziesca con un’ambientazione rigorosamente parmense (replicata poi nella seconda serie, che pure avrà un titolo diverso) e adesso che potrebbe legittimamente tornare – è il caso di dirlo – sul luogo del delitto (nel frattempo frequentato anche dal RIS di Canale 5) lo trasferiamo a Ferrara?
Ma tant’è.
Da quando a Loriano Macchiavelli, più d’una decina di anni fa, trasformarono il colitico sergente Sarti in un ben più istituzionale ispettore televisivo e la Biondina, la prostituta amica del questurino, in un’avvenente studentessa del DAMS non possiamo più stupirci di nulla.
Viceversa non riusciremo a tacere sul movente che sembra abbia ispirato l’intera serie.
Su quotidiani e rotocalchi e in interviste tv Luca Barbareschi ha ripetutamente sottolineato l’esigenza di creare un “Montalbano del Nord” e questo desiderio, evidentemente condiviso ai più alti livelli (ne siamo testimoni diretti perché di una tale idea – bislacca, come vedremo – si parlava già al “Noir in Festival” di Courmayeur di tre anni fa), ha spinto a ricercare un possibile eroe che rivaleggiasse col suo omologo siciliano.
Ma solo per una questione di ascolti? O non piuttosto per una malintesa geopolitica televisiva per cui a un Montalbano siciliano e a un Rocca romano, entrambi campioni di ascolti, andava affiancato, in una “logica” padana, un bel Soneri della Bassa?
Com’è noto a pensar male si fa peccato … ma non ci stupiremmo se a qualche cervellone fosse venuta l’idea geniale di riecheggiare il programma politico di un partito fortemente radicato nel Nord in una fiction televisiva: dimenticando che costruire un personaggio e addirittura una serie tv non su una precisa identità, ma in contrasto e opposizione a una già consacrata dal pubblico, può portare a straordinari insuccessi.
E alcuni indizi ci hanno a lungo fatto temere il peggio.
Sole, mare e cielo tersissimo nella Vigata di Montalbano?
E a Ferrara Soneri si muove letteralmente in un acquario tra nebbia, pioggia e neve.
Il commissario siciliano ogni tanto ha a che fare con la mafia, malattia endemica della regione?
E Soneri risponde subito con una bella storia locale – un classico, quasi – di odi tra partigiani e repubblichini che ancora sopravvivono nonostante l’avanzatissima età dei protagonisti.
La cadenza isolana di Zingaretti e colleghi ci conduce in un universo accuratamente e folcloristicamente siculo?
E allora qui la regia accompagna alcune puntate in trattoria di Barbareschi col sottofondo di qualche romanza: perbacco, siamo o non siamo nella terra dei melomani del Regio – ahiloro – di Parma?
Certo, qua e là, il Montalbano del Nord assomiglia invece un po’ troppo a quello del Sud: l’individualismo nelle indagini; una bella donna come compagna, anche se non gli sta troppo addosso; un certo amore per la tavola. Ma è comprensibile: i tempi degli esangui, misogini e inappetenti detective di scuola inglese sono finiti da un pezzo.
Eppure, nonostante tutti i tentativi della produzione per rendere banale, irritante e magari inguardabile il nostro Soneri, la qualità della narrativa di Varesi, che fornisce robusti intrecci e solide psicologie, e della recitazione di Barbareschi, che evita al massimo istrionismi da commedia all’italiana recitando in modo molto controllato, ci offrono un prodotto discreto, apprezzabile in molte sue parti, decisamente sopra la media, degno di avere un seguito nei sei successivi episodi già previsti dalla produzione.
E allora viva il commissario Soneri che, per una lodevolissima eterogenesi dei fini, conquista i nostri cuori – nonostante il sigaro perennemente in bocca – non già perché è “anti” qualcuno, certamente non perché ricorda, in negativo, qualcun altro: ma solo perché è un detective con una sua precisa identità. Un personaggio, insomma.
A dispetto di chi gli voleva del male.
E, di questi tempi, non è poco.
Voto: 7
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