La signora fa manovra e mi passa da destra, salutandomi con un altro colpo di clacson.

Giro ancora la chiave. La macchina è morta. La batteria è fottuta. Metto le quattro frecce e anche loro lampeggiano fievoli. Nessun dubbio, la batteria è a zero. Non penso a niente. Nessuna onda di panico mi assale, è tutto sotto controllo, solo un piccolo problema da risolvere.

Chiudo ancora le portiere, ho visto il blocco motore lampeggiare di nuovo. Riapro. Giro la chiave. Niente.

Le auto ora mi passano veloci da destra e da sinistra, e io con le quattro frecce in mezzo sono solo un birillo da evitare. Appena anche le frecce saranno spente e il traffico più veloce? Niente panico, è solo un’allucinazione.

Giro la chiave altre mille volte. Rientra il blocco motore, chiudo e riapro, riprovo, niente. Ma non sta succedendo, è uno scherzo del freddo, non ci sono altre spiegazioni. Io sono ancora rannicchiato sul sedile ad aspettare che la coda si muova. Il cervello fa brutti scherzi, forse mi sto addormentando, ci penserà la signora dietro a suonare quando è il momento di ripartire.

Ho acceso la macchina un sacco di volte, ho acceso i fari e il riscaldamento un sacco di volte. Per pochi minuti e poi ho spento tutto di nuovo. Per seguire le istruzioni dei vigili del fuoco. E la batteria mi ha salutato. Ecco la spiegazione. E io sono sveglissimo e nella neve e nella merda. Chi se ne frega, tanto ormai ero rassegnato. Chi se ne frega se sono rimasto l’unico incredibile del girone. Penso al cervo che a quest’ora starà viaggiando a cento all’ora. Penso alla signora in punta di culo che lo tallona e gli suona. Penso al tir in mezzo alla strada e poi ripenso al messaggio di Nic, vorrei rileggerlo se il cellulare non avesse fatto la fine della batteria già da un paio d’ore. Con la neve c’è più solidarietà, diceva.

Esco fuori. Le auto mi sfrecciano accanto, sollevando spruzzi gelidi che m’investono. Nevica con un’intensità che ancora non aveva mai raggiunto e tira pure vento. Mi sbraccio per farmi vedere, se qualcuno avesse dei cavi potrei ancora farcela. Ma nessuno si ferma e molti mi guardano come si guarda lo sfigato del gruppo, quasi con un ghigno. Sono stati fermi per quasi cinque ore, forse non mi fermerei neanch’io.

Un secondo, io ce li ho i cavi della batteria, ho solo bisogno di un’altra macchina. Sono nel sedile del passeggero, nella busta che tengo sempre in bauliera. Rientro. Sto tremando, i denti battono e mi fanno male. Sono fradicio dalla testa ai piedi. Esco e appoggio la borsa per terra. Provo a spingere la macchina per spostarla un po’ sul lato della carreggiata, ma all’improvviso è pesantissima. Le mia scarpe scivolano sulla strada di ghiaccio, mi arrendo quasi subito.

E le macchine passano sempre più veloci. Cazzo, perché la coda non si ferma più? Semplice, perché non sta succedendo davvero. Apro una mano e subito un fiocco di neve gigante mi si posa sopra. Ora ho capito cosa mi ricorda: i langolieri. È una vecchia storia di Stephen King, una bella teoria del tempo. Un aereo attraversa l’aurora boreale e si ritrova in un quando in cui la vita è già passata. Intrappolati in una fotografia del passato, attraversata dal tempo e dalla vita che porta con sé. Bibite senza gas, benzina che non brucia, campanelli che non squillano. Una foto ormai inutile, che i langolieri, divoratori del tempo con denti affilatissimi, passano a divorare come spazzini. Ecco dove mi sembra di essere, in una foto dello spazio dove il tempo passa ma non mi porta con sé. E la neve seppellisce tutto, come i langolieri se lo mangiavano. Ora ho davvero paura. E freddo.

* * *

La coda ebbe un sussulto e le macchine iniziarono a muoversi.

— Finalmente ci muoviamo — disse Capo. — Speriamo solo che sia la volta buona.

— Speriamo, — disse Topo sottovoce. Se ne stava a occhi chiusi rannicchiato sul sedile, con le ginocchia strette al petto in un abbraccio.

Il furgone ripartì, il traffico sembrava scorrere lento ma con più uniformità. Quando Capo riuscì a mettere la terza si rilassò. Sì, forse era davvero la volta buona. Guidò per quasi un chilometro senza sosta, poi notò un’auto ferma sulla corsia di destra, con le quattro frecce che lampeggiavano fioche. Fuori, l’ombra di un uomo stava accucciata a terra.

— E questo chi cazzo è?

— Uno nella merda — rispose Topo. — Capo, devi fermarti.

— Non dire stronzate.

— Dico sul serio, dobbiamo soccorrerlo. L’hai detto tu che non dobbiamo destare sospetti, se fra qualche metro ci rifermiamo qualcuno potrebbe venirci a chiedere perché non l’abbiamo aiutato.