— A due chilometri. Un tir. Dobbiamo crearci un varco.
Perfetto, se nemmeno un cervo riuscirebbe ad attraversare la strada voi la volete percorrere in lungo per due chilometri. Nemmeno se fate guidare il fantasma di Houdini.
La combinazione di soli numeri è il gioco del quindici. Quando ero piccolo era la mia passione. Sedici caselline, quindici tessere numerate disposte in quattro file. Ne sposti una per volta fino a metterle tutte in ordine crescente. Ora le file sono due, questo è il gioco del quindicimila. Le macchine sulla corsia di destra vanno una avanti e una indietro fino a toccare quella vicine; nel mezzo si crea un parcheggio dove a marcia indietro ne entra una dell’altra corsia, che crea un posto. Una macchina avanza. Qualche metro più indietro si è creata una casella vuota nella corsia di sinistra, si sposta una macchina dalla destra, così tutte possono fare marcia indietro e chiudere il cerchio. Nel mezzo ci sono un camion dei vigili del fuoco, un furgone dell’ANAS e un’ambulanza che avanzano. In quasi un’ora sono riuscito a indietreggiare di cinque o sei metri, e il trio delle meraviglie e ancora davanti ai miei occhi a un tiro di sputo.
BB429DF. Gran gioco abbiamo fatto. Duemila manovre e di fronte a me ho ancora un cervo nel cartello e uno nel furgone. E qualcuno ha voltato la sfera di vetro, perché la neve ha ripreso a venire giù a fiocchi grandi come quelle strane spugne da doccia, quelle che sembrano coccarde di natale. Sembra quasi voglia stendere un ulteriore velo bianco e pietoso su questa storia. Il camion dei vigili ha fatto sì e no cinquanta metri, diciamo un metro al minuto. Ne mancano ancora millenovecentocinquanta, a questa velocità fanno trentadue ore e mezzo prima che raggiunga il tir. Poi dovranno spostarlo, già, ma per metterlo dove? Guardo la strada: due corsie strettissime che già due furgoni come quelli del cervo ci stanno precisi. Dante non aveva capito un cazzo, l’inferno è fatto di ghiaccio e neve. E io sono capitato nel girone degli stronzi: il cervo mi sta di nuovo appestando con le sue fumate nere.
* * *
Topo si agitava sul sedile, cambiando posizione di continuo. Ogni tanto riprendeva il fumetto e lo riponeva senza nemmeno aprirlo.
— Mi stai facendo venire il mal di mare. Perché non stai fermo un secondo?
— Perché sono annoiato. Perché non ti sei infilato dietro ai pompieri e all’ambulanza? A quest’ora chissà dove sono arrivati.
Capo sbuffò rassegnato.
— Possibile che non capisci mai un cazzo? Se vai dietro e lo chiedi al ragazzo il perché, vedrai che l’ha capito pure lui.
— Posso andarci? — si rianimò subito Topo.
— No. E non abbiamo seguito l’ambulanza perché abbiamo un furgone della polizia.
— E allora?
— E allora la polizia sarebbe obbligata a dare una mano. Se ti aggreghi a loro sono cazzi. Esce qualche pompiere, ti rompe i coglioni, ti inizia a dire cosa stanno facendo, dove stanno andando, e poi devi aiutarli.
— Ma noi non siamo poliziotti veri.
— Appunto.
Topo non si voleva rassegnare e continuava a fissare Capo con uno sguardo da ebete.
— E allora accendiamo le sirene e facciamoci posto.
— A volte mi chiedo se lo fai apposta.
— Cosa?
— Ah, lascia stare. E poi, anche con la sirena, dove cazzo vorresti andare, me lo spieghi?
— E allora cosa facciamo?
— Aspettiamo.
— Uffa. Posso almeno andare dietro col ragazzo?
— No.
— Devo scendere per pisciare.
— No.
— Non posso nemmeno pisciare?
— L’hai mai visto un poliziotto pisciare davanti a centinaia di macchine? Falla nella bottiglia.
— Con te che mi guardi non mi viene.
Capo si accese una sigaretta.
— Cazzi tuoi.
* * *
— A che cazzo ti serve il riscaldamento, brutto figlio di puttana, se poi tieni il finestrino aperto?
Dalla fessura del finestrino esce un’altra nuvola di fumo. Il cervo non raccoglie la provocazione, alza un po’ le spalle e indica con la testa la bambola di pezza seduta accanto a lui che, con tempismo perfetto, tossisce ancora. Sento che sto perdendo il controllo. Lui fuma come un turco, così apre il finestrino per non intossicare la figlia; quindi entra il freddo, così accende il motore per riscaldare la figlia. E intanto la figlia tossisce e trema, grazie papà per le tue premure. Se gli chiedo perché non smette di fumare, come minimo mi dice che è nervoso per l’attesa. Strano effetto fa l’attesa, a me viene voglia di prenderlo a calci in culo, per ammazzare il tempo. Sarà che mi ha ricordato quella puttana di mia moglie per la seconda volta. Anche Pat aveva sempre le scuse pronte quando si trattava di fumare: il nervoso, la digestione, il sonno.
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