“Adesso io sono morto, un cadavere in fondo a un pozzo. Ho esalato l’ultimo respiro ormai da tempo, il mio cuore si è fermato, ma, a parte quel vigliacco del mio assassino, nessuno sa cosa mi sia successo”.
Inizia così questo singolare romanzo di colui che è considerato oggi, nemmeno cinquantenne, uno dei migliori romanzieri turchi.
Attenzione, Il mio nome è rosso non è esattamente un romanzo giallo: o meglio, non è solo un romanzo giallo, anche se la complicata vicenda riguardante la morte del miglior doratore del Sultano è sicuramente avvincente e tiene alta la tensione per tutto lo svolgersi delle sue quattrocento pagine.
Ambientato nel 1591 in Turchia, sullo sfondo di una civiltà percorsa da vecchie inquietudini e tentazioni occidentali, offre molteplici spunti di lettura: in primis, la ricerca dell’assassino che Nero – il nipote del morto – effettua anche perché, in caso di fallimento, non potrà sposare la bella cugina Sekure della quale è innamorato da molti anni.
Si possono trovare molte altre chiavi di lettura in questo romanzo: la contrapposizione tra modernità e conservazione, tra una visione laica e una visione confessionale della società, la disputa sulla rappresentazione della figura umana nelle miniature che per gli integralisti può recare offesa ad Allah, con i suoi pesanti contraccolpi sulla società. Il tema dell’iconoclastia è presente in tutto il racconto, è un tema importante, ma la scelta che Orhan Pamuk fa di far narrare le vicende in prima persona fa sì che il romanzo divenga corale, non si appesantisca nella narrazione in terza persona: proprio la scelta far parlare i vari personaggi dà un tocco di leggerezza all’insieme che risulta perciò estremamente godibile.
Anche se i temi sviluppati con il pretesto della ricerca dell’omicida sono temi complessi, importanti, quello che emerge è soprattutto un grande affresco storico pervaso da un’atmosfera orientale: le ambientazioni creano un’atmosfera da “mille e una notte”, sono variate cromaticamente al rosso, al nero, all’oro. La scrittura è elegante, piacevolmente barocca, e permette di avvertire il senso della decadenza di un mondo minacciato dalla corruzione proveniente da Occidente, ma profondamente vitale.
La difficoltà risiede casomai nel non cogliere appieno le sfumature di senso legate al mondo islamico: Pamuk prende spunto da una vicenda antica per parlare della Turchia moderna, voce laica e democratica in una nazione fortemente chiusa nonostante le ambizioni di entrare in Europa. Non a caso lo scrittore ha una posizione fortemente critica verso la politica del governo turco, in particolare per quanto riguarda i diritti umani, e sostenendo che la cultura ottomana era molto più tollerante e multiculturale della Turchia di oggi, lancia un segnale importante anche all’Europa occidentale.
Una vicenda gialla, una chiave di lettura sulla tolleranza, una storia d’amore, un affresco storico: elementi più che sufficienti per dare un’occhiata a questo bel romanzo.
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