Difficile che rimanga una qualche traccia di The Big White, che vorrebbe essere nero così da stagliarsi sulla coltre bianca che ovatta tutto e di più, ma che invece finisce col confondersi col bianco stesso che tutto ingloba.

 

Un po’ pulp quando si tratta di rendere irriconoscibile un cadavere rinvenuto per caso che deve passare per un fratello scomparso così da permettere l’incasso di un’assicurazione sulla vita da 1,000,000.00$, alla lunga non regge il gioco e finisce con il trasformarsi, suo malgrado, in una sorta di inno alle gioie della vita coniugale (quando c’è l’amore beninteso…).

 

A cercare col lanternino ad attirare l’attenzione è una certa insistenza sui volti tumefatti di Robin Williams e del suo antagonista Ribisi, squattrinato proprietario di un’agenzia di viaggi il primo, ispettore di un’agenzia di assicurazioni il secondo.

Le tumefazioni, le ferite, gli edemi, i graffi, che via via compaiono sui loro volti (in particolare quello di Ribisi), sembrano recitare anch’essi, quasi a significare una sorta di perverso gioco al massacro su ciò che è più importante per un attore: la sua faccia, che grazie al make-up viene mandata al macero con, pare di capire, una non celata soddisfazione (magari per vedere l’effetto che fa).

 

Modelli più o meno occulti del film sembrano essere La congiura degli innocenti, Fargo, Soldi sporchi (tutti immensamente superiore a questo, in particolari gli ultimi due).

Sergio Gualandi

The Big White, Il grande bianco si riferisce al paesaggio candido dell’Alaska ambiente nel quale è immersa questa vicenda di grottesche congiunture e coincidenze eccentriche (quasi mai logiche) che sfocia subito in un pasticcio grigio e fosco, impantanato nell’esagerazione dei toni che solo una mano esperta può gestire con saldezza (come non citare i fratelli Coen di Fargo e il Raimi di Soldi Sporchi che maneggiarono la materia con ben altre capacità e risultati).

Un agente di viaggio sull’orlo della bancarotta (Robin Williams) vorrebbe riscuotere una polizza milionaria dato che il fratello (Woody Harrelson) risulta scomparso da cinque anni. Della pratica si occupa un solerte e inflessibile perito (Giovanni Ribisi). A patto si trovi il cadavere del congiunto per poterlo dichiarare morto, è disposto a liquidare l’assegno. Due sicari stupidotti e imbranati scaricano il corpo di una loro vittima nella spazzatura dell’agenzia di viaggio e ben presto la trama si attorciglia in una serie di situazioni rocambolesche e stravaganti equivoci. A complicare il tutto ci si mette la moglie del protagonista (Holly Hunter) affetta dalla sindrome di tourette (disturbo mentale che implica uno sproloquio continuo) nonché il ritorno improvviso del fratello scomparso.

Vien da pensare che in una località come quella dove non c’è niente se non bianco e montagne, bianco e cieli azzurri, bianco e predatori ogni cosa è possibile: ma c’è solo da augurarsi che il tutto rimanga tra quelle quattro montagne.

Il delitto rimane impunito nella finzione cinematografica ma nella realtà ci si augura verrà sanzionato dal pubblico sovrano.

Daniela Losini