Probabilmente, l’unica accusa che Lord of War non riuscirà a scampare è quella di essere moralmente ambiguo, il che nel caso specifico significa indicare col dito la luna e sperare che stavolta non si guardi il dito (che ha la sua importanza…).
Andrew Niccol, pare di capire, procede in questo modo: segue quasi passo la carriera di Yuri Orlov, un trafficante d’armi ucraino in giro per i posti caldi del mondo, dove le armi servono più di ogni altra cosa, stando bene attento a dare dello stesso Orlov un ritratto fatto più di luci che di ombre, calando al momento opportuno l’asso rappresentato dall’uccisione del fratello, così, tanto per impietosire un po’, per poi, nel finale, ricordare che ben altre sono le responsabilità riguardo al traffico d’armi, responsabilità che portano dritti dritti a paesi come Stati Uniti, Francia, Cina, Gran Bretagna, tutte e quattro con un seggio nell’ONU (sai che novità…).
Che fare? Certo, ci si potrebbe scandalizzare, non fosse che come notizia è fuori tempo massimo, e magari iniziare a non bere più coca, a non mangiare più involtini primavera, a non piluccare più pâté de fois gras, a non acquistare più biglietti aerei per Londra (ma servirebbe a qualcosa?).
Ma il problema del film è un altro, talmente visibile che quasi non si nota: è la soggettiva (ma forse sarebbe meglio dire semi-soggettiva) della pallottola che prende forma nella fabbrica di munizioni (sequenza che ricalca quella simile, ma col cioccolato al posto dei proiettili, di La fabbrica di cioccolato). Imballata assieme ad altre migliaia di proiettili dentro una cassa inizia a viaggiare, prima via terra, poi via mare. Finisce nel caricatore di guerrigliero X, aspetta pazientemente il suo turno, e poi termina il suo viaggio nella fronte di un ragazzino facendolo secco stecchito.
Cos’è secondo voi: una denuncia o un videogioco?
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