La casa degli spettri è in un palazzo antico di via del Gonfalone, fra il Tevere e una delle strade più belle di Roma, via Giulia. All'interno, si aggirano il fantasma di Carlo Sacchi, ucciso nel 1945 dalla contessa Bellentani, e quello di Salvatore Giuliano, quello di Beatrice Cenci e quello dell'anarchico Bresci, quello di Faustina Setti, caduta sotto i colpi di scure della "saponificatrice di Correggio". Di quei fantasmi, e di altri protagonisti del crimine, ci sono anche gli oggetti personali, e poi strumenti di tortura e di "giustizia", e gli attrezzi di chi ha cercato di penetrare la metà oscura della mente umana. E' il Museo Criminologico di Roma, nato nel 1931 nella prigione seicentesca delle Carceri Nuove, in via Giulia, e trasferito nel 1975 nel Palazzo del Gonfalone. Lì, su tre piani, sono distribuite le tappe fondamentali della storia della giustizia, del carcere e della criminologia in Italia.  

Torture e supplizi. La prima sezione conferma la crudeltà delle pratiche punitive che si basavano sull'uso della tortura e del supplizio capitale. Vasta la scelta degli instrumenta martyriis: le gogne e il banco di fustigazione, l'ascia per la decapitazione, la "spada di giustizia" (101 centimetri di lunghezza) e la "Vergine di Norimberga", armadio di ferro che riproduce le sembianze di una figura femminile con punte di metallo affilate che spuntano dalle ante. E ancora, la sedia di tortura (con la seduta ricoperta di punte acuminate, a volte riscaldate) usata in particolare nei processi per stregoneria. Fra le "curiosità", la "briglia delle comari", una maschera di ferro che veniva applicata sul viso di donne accusate di calunnia. E poi scudisci (il kurbasch a quattro code in pelle d'ippopotamo), fruste, catene e ferri vari.

 

Boia e confortatori. Sembra la veste di un cardinale ma in comune con quella ha solo il colore, rosso purpureo. E' la "divisa" di Mastro Titta, al secolo Giovan Battista Bugatti, celebre boia del Papa. E' esposta nella sala dedicata alla giustizia fra XVIII e XIX secolo, che ospita anche tre ghigliottine. C'è pure quella dello Stato Pontificio, in funzione a Roma, a piazza del Popolo, fino al 1869. Poi ci sono le "bussole", per la raccolta delle elemosine durante le esecuzioni, e le vesti del confortatore, che aveva il compito di prendersi cura dell'anima del condannato, con l'ausilio del crocifisso piazzato su uno stendardo che veniva innalzato durante il corteo verso il patibolo.

 

Scienza e intuizioni. La sezione dedicata all'Ottocento presenta gli studi di antropologia criminale, le tecniche di polizia scientifica, alcune tappe della storia delle carceri. C'è, ad esempio, il cranio di Giuseppe Villella, sul quale, nel 1872, Cesare Lombroso "scoprì" la prova della delinquenza atavica, la "fossetta occipitale mediana". Non mancano le prove di fenomeni sociali e casi di cronaca, come la pistola e alcuni oggetti personali dell'anarchico Gaetano Bresci, che nel 1900 uccise il re d'Italia Umberto I, oltre a un breve excursus sul carcere in Italia, con stampe, cimeli, suppellettili. A raccontare la nascita del manicomio criminale (primo esperimento, Aversa, nel 1876), un letto di contenzione e alcune camicie di forza.

 

Crimini e clamori. Sono i casi che nel Novecento hanno animato le cronache e lasciato un segno non solo nella storia del crimine. Dai coltelli rudimentali usati dagli ergastolani protagonisti, nel 1945, dell'evasione di Alghero, agli oggetti appartenuti a Salvatore Giuliano e al cugino e luogotenente Gaspare Pisciotta, dalle pistole di Pupetta Maresca agli "strumenti" da brivido della saponificatrice di Correggio, Leonarda Cianciulli; dalla calibro 9 "Fegyverzyar" con cui Pia Bellentani uccise l'amante alle armi della banda Casaroli, agli oggetti - guanti e golfino - della "decapitata di Castelgandolfo" Antonietta Longo.

 

Vero e falso. Dipinti, reperti archeologici, oggetti sacri: è la sala riservata a furto, ricettazione e contrabbando. Anche qui tante curiosità, la bicicletta col telaio vuoto usata per il contrabbando di alcool, i fusti per la distillazione clandestina di grappa, i bauli con doppio fondo. Nella stanza accanto, dipinti e litografie, fra gli altri, di Guttuso, De Chirico, Dalì, Cascella. Nessun allarme (visibile), ma è inutile tentare il "colpaccio". Il perché, ve lo dice quella parola scritta, con mano ferma e pennarello nero, in un angolo della tela: "falso".