Ci sono spie italiane al soldo della CIA; ci sono terroristi affiliati al fondamentalismo islamico; ci sono anche sparatorie, inseguimenti, vendette trasversali e un odio capace di attraversare i decenni della complessa storia italiana del dopoguerra. Nel romanzo Ho ucciso un poeta ci sarebbero insomma tutti gli elementi sufficienti a classificarlo come un thriller, o come una vera e propria spy story. Ma in realtà questo libro, nonostante l'etichetta che campeggia in copertina sotto al titolo, non è classificabile esattamente come thriller, perché di questo genere (invero assai vasto) non ha i meccanismi e le convenzioni, usate di consueto per tenere avvinghiato il lettore.
In effetti la nicchia letteraria cui Ho ucciso un poeta afferisce è, più propriamente, quella degli pseudobiblia, dei fake; insomma, dei libri "finti". E non sia detto in senso peggiorativo, anzi. Esiste una lunga, lunghissima tradizione (che passa attraverso Borges e Pessoa, giusto per citare qualche padre nobile) di volumi che rimandano ad altro: altre storie, altri autori, altri testi che vengono spacciati come realmente esistenti quando invece sono solo una finzione letteraria. Un fine gioco col lettore, dunque, come avviene anche in questo caso. A partire dal nome dell'autore: perché Giovanni Heidemberg, nei risguardi di copertina, ci viene descritto come uno scrittore di cui "non si sa nulla" e che preferisce mantenere l'anonimato. Un nome tra l'altro che è lo stesso di quello del protagonista del romanzo stesso, un uomo calato in una spirale vendicativa che non gli farà conoscere tregua finché non avrà placato la propria ira. E non è finita: perché c'è anche il romanzo nel romanzo, ossia un memoriale - riportato addirittura con un carattere differente dal testo principale - che svelerebbe tutti i retroscena dell'uccisione dell'intellettuale Pier Giorgio Giorgini. Ancora un mascheramento: non è difficile riconoscere dietro a questo nome, e alla vicenda che emerge dal testo, il poeta Pier Paolo Pasolini, di cui tra l'altro ricorre l'anniversario della violenta scomparsa.
Letteratura che si lega alla vita reale che si lega di nuovo alla letteratura, dunque. Dov'è la verità? Dov'è la finzione? Noi stiamo leggendo le vicende di un uomo, Heidemberg, che cerca di dare alle stampe un memoriale che svela il vero responsabile della morte del poeta. Ma di chi è questo memoriale? Di un amico di Heidemberg? Di un nemico di Heidemberg, forse? O magari di Heidemberg stesso? E ancora: l'oggetto libro che teniamo in mano, che cos'è? È davvero la confessione di qualcuno che sa qualcosa, ma che vuole rimanere anonimo e quindi si maschera dietro a questo pseudonimo?
Insomma, Ho ucciso un poeta è sicuramente consigliato a coloro che amano perdersi tra differenti livelli di lettura e sentire per una volta, in prima persona, la vertigine di non sapere di preciso cosa sia quella cosa cartacea che si sta sfogliando; e il consiglio è ancora più valido per tutti quelli che non temono, a fine lettura, di restare con più domande che risposte. Per tutti gli altri si tratta comunque di una storia scritta con grande gusto estetico, un profondo scavo psicologico e un evidente lavoro di documentazione. Perché alla fine il quadro che si ricompone non è tanto quello che riguarda la morte di Pasolini, o del suo alter ego, ma un affresco di quarant'anni di storia italiana, filtrati dalla lente di un devastante cinismo che non risparmia proprio nessuno: destra e sinistra, cristiani e mussulmani, ce n'è davvero per tutti. Che sia per questo che l'autore ha preferito restare anonimo, ammesso che "Giovanni Heidemberg" sia davvero un nom de plume?
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