Anche per Il maresciallo Rocca 5, così come ci è accaduto per Il commissario Montalbano, non abbiamo ritenuto possibile una recensione classica.
Come e più della sua rivale in ascolti (ma pur sempre in casa Rai), la serie interpretata da Gigi Proietti nel ruolo del protagonista rappresenta un fenomeno televisivo tipicamente italiano che va analizzato nel suo complesso e non nel semplice succedersi dei vari appuntamenti.
Il maresciallo Rocca, infatti, che quest’anno ha festeggiato i dieci anni di vita, è un prodotto anomalo se paragonato agli standard internazionali: solo una trentina di episodi (sei in quest’ultima tornata dal 2 al 23 ottobre) con una durata media per episodio che, pur essendo quella più amata dal telespettatore italiano (intorno ai 100’), tuttavia è il doppio di quella delle grandi produzioni statunitensi. E non è la sola analogia con Il commissario Montalbano: anche qui il cast è rimasto sostanzialmente immutato negli anni e questo ha permesso il consolidarsi dell’affetto del pubblico altrimenti disorientato dalla problematica periodicità in tv.
Ma a differenza del fenomenale collega della polizia siciliana, il maresciallo Rocca è nato in tv e per la tv: non ha avuto dietro di sé una vita letteraria autonoma che ne ha garantito, in parte, il successo televisivo. La serie è infatti nata, almeno a nostro avviso, da una felice intuizione della produzione che ha creato, ne fosse o no consapevole, un “format”: tanto che, dopo tanti tentativi di imitazione qui in Italia, non saremmo stupiti se qualche tv europea lo acquistasse per farne una versione nazionale.
Esaminiamone dunque gli elementi fondamentali.
Innanzi tutto gli ingredienti necessari per sfondare in prima serata, almeno in Italia: il giallo e la commedia, miscelati in dosi variabili, ma sempre presenti. La ricetta comunque non è nuovissima: già ai tempi del tenente Sheridan il giallo era stato associato a un altro genere fortunatissimo, quello del quiz; qui invece gli sceneggiatori hanno attinto a quel grande patrimonio della cinematografia nazionale che è la “commedia all’italiana”.
In secondo luogo azzeccata è stata la scelta del detective: un maresciallo dell’Arma, che tutti noi abbiamo la possibilità di incontrare per le strade del nostro paese o della nostra città di provincia (non a caso la serie è ambientata a Viterbo: e l’Italia non è altro che un’immensa provincia costellata da qualche metropoli). In verità, grazie anche alla collaborazione degli alti vertici dei Carabinieri, il maresciallo Rocca, più che ispirarsi a persone realmente esistite, è una sorta di proiezione mitologica (se ci si consente un tale termine per una serie tv), il maresciallo insomma che tutti i sottufficiali dell’Arma vorrebbero essere e che tutti i cittadini d’Italia vorrebbero avere nella propria stazione. Anche perché, nel privato, è incasinato come uno di noi (vedovo con tre figli, ha agli inizi una relazione con una separata che poi sposerà dopo la provvidenziale morte del marito), è di mezz’età ma in forma e “piacione” (come ha dimostrato in quest’ultima serie), di solito autorevole ma talvolta persino autoritario, sempre (senza alcun dubbio) autoironico: basti vedere nell’episodio La trappola, andato in onda il 9 ottobre, il comico conflitto di interessi in cui rimane invischiato il buon maresciallo che deve indagare sul genero, presunto stupratore nonché sicuro adultero, proprio mentre anche lui sta tradendo la sua fidanzata Francesca con l’affascinante tenente Solimeni (anche in Rai si sono accorti che le donne si sono arruolate nei Carabinieri!).
In terzo luogo fondamentale è stata la scelta del cast: anticipando quella che poi sarebbe diventata una consuetudine nelle nostre serie poliziesche, la produzione ha individuato, per interpretare il protagonista, Gigi Proietti, artista versatile, attore dalle notevoli capacità, purtroppo non sempre apprezzate dalla tv e soprattutto dal cinema, che poteva garantire la tenuta complessiva del lungo episodio alternando sapientemente i registri comico e drammatico senza mai cadere nella tentazione di strafare. E, accanto a lui, qualche buon attore sperimentato in anni di teatro e di doppiaggio (Mattia Sbragia e Sergio Fiorentini), una presenza femminile intrigante (Stefania Sandrelli) o, più tardi, sbarazzina (Veronica Pivetti) e un pugno di giovani promesse.
Al successo della serie naturalmente hanno contribuito tanti altri fattori: lo “sdoganamento” dell’Arma per le storie d’indagine in Italia (per anni sceneggiatori, di sinistra o no, hanno ritenuto più “democratica”, più “simpatica”, più vicina al cittadino la Polizia di Stato); la voglia, di una parte del pubblico televisivo, di una “fiction” di prima serata in cui prevalesse l’intrattenimento intelligente e non la deriva verso la commedia dei “pierini”; e, non ultima, la decisione di Proietti di continuare a dar vita al personaggio (senza di lui sarebbe dura vedere un altro maresciallo Rocca) senza abbandonare per stanchezza, per desiderio di altre esperienze che, d’altra parte, non gli sono negate, vista la cadenza estremamente dilatata delle varie stagioni.
Così ci ritroviamo con un buon prodotto, di successo, non minacciato di estinzione (già si parla di Il maresciallo Rocca 6) e che sicuramente ci farà rimpiangere le serate trascorse in sua compagnia: anche se – un difetto occorrerà pur trovarlo – la collocazione ballerina nel palinsesto, mai legata a un solo giorno per tutta la programmazione, forse gli ha sottratto degli affezionati seguaci.
Ma, si sa, non tutto si può avere. Soprattutto sotto questi cieli (televisivi).
Voto: 8
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