Appassionata di cinema, in particolare dei film di Alfred Hitchcock e del genere horror, Sarah Mataloni, bolognese di nascita ma residente a Roma dove lavora all’Università degli Studi Roma Tre, esordisce nel giallo con un romanzo “I demoni di Montequarzo”, pubblicato dalle Edizioni Efesto, ispirato alla “poetica” del suo regista preferito. Un giallo, pertanto, scritto con il chiaro intento di suscitare brividi nel lettore, lasciando in seconda istanza quegli elementi tipici del genere come  l’indagine di un detective su un avvenuto omicidio, con il prevalere di atmosfere, incubi, aspetti psicologici, anzi psichici, che il caso suscita. 

E il caso è quello di Sofia, una donna sulla quarantina, esile, dipendente di una biblioteca di Montequarzo, un piccolo paese con un solo bar, il Bar Ginko, un negozio di alimentari e poco altro, se non, appunto, la biblioteca dove lei lavora tutti i giorni dalle 8,30 alle 14,30 e dove si ritrova un sabato per risvegliarsi stordita accanto al cadavere di un uomo con il volto sporco di sangue. “Il corpo era rivolto verso il pavimento, la camicia grigia a quadroni era strappata e attorno al volto ben definito, una macchia di sangue stava continuando a diffondersi” leggiamo, per poi una agghiacciante verità getta il lettore, al pari della donna, nel mistero della scena, quando la descrizione che ferma l’istante si conclude con una realtà che apre al mistero: “Su tutto, il suo blackout totale e l’incapacità di ricordare”. 

Da dove è arrivato quell’uomo in biblioteca e chi lo ha ucciso, ma soprattutto cosa è stato fatto a lei, tra l’altro seduta proprio davanti al libro che stava leggendo, ancora aperto “in corrispondenza del capitolo due”. 

Sofia riesce appena a trattenersi dall’urlare, mentre, nella biblioteca deserta, si dà a gambe levate “proprio come un topolino a una trappola, portando con sé il taglierino pieno di sangue e il libro”. 

Nel bagno dove si rifugia, guardandosi allo specchio come se vedesse un’altra se stessa, cerca di riconnettersi, ma trova il vuoto completo. Non ha cognizione di quanto tempo resta chiusa lì, finché  l’urlo disperato di una donna a cui fa seguito il suono di una sirena l’avverte che qualcuno ha trovato l’uomo. 

Ben presto il cadavere ha un nome. Si tratta di Aldo Giannurzi, rimasto vedovo prematuramente della moglie, gestore dell’unico negozio di alimentari del paese, amato da tutti per il suo carattere cordiale e la fama di donnaiolo. Naturalmente, l’omicidio prevede la presenza della polizia, che ci sarà nella persona dell’ispettore Cinzuri, ma l’autrice segue altre strade, quelle delle indagini psicologiche, delle relazioni segrete tra vari abitanti del paese di Montequarzo, ai quali vengono dedicati i vari capitoli del libro, ciascuno dei quali porta in exergo una battuta tratta dai più diversi film di Hitchcock. Film dei quali la stessa Sofia è una patita fan, come la sua autrice, che ha nel pedigree anche anni di lavoro nel teatro, al quale questo stesso romanzo, così denso di caratteri, scene, atmosfere, potrebbe adattarsi. Non a caso, in una introduzione al romanzo stesso, Paola Scotto di Tella, racconta com’è nato il titolo del libro: proprio in un camerino del teatro dove deve andare in scena uno spettacolo. A prepararsi per entrare in scena sono in quattro attrici, mentre arriva uno squillo sul cellulare dal quale parte un vocale. È di Sarah Mataloni, che dice a Paola Scotto di Tella di averle mandato i primi capitoli del suo romanzo e le chiede di aiutarla a inventare il nome del paese in cui il romanzo è ambientato. Paola le risponde che adesso non ha tempo, deve entrare in scena. Le suggerisce soltanto: “Cerca il nome di un vento o di una stella. Anzi, meglio. Di una pietra. Un minerale, una pietra preziosa…”

E così il 26 marzo del 2024 è nato il titolo de “I demoni di Montequarzo”. Non vi resta che leggerlo.