§ 1 – Raccontati in un racconto
Tempo fa ho scritto un racconto per un’antologia horror di autori vari. È una storia ambientata in una casa a una cinquantina di chilometri da Roma, fra la periferia di un paese e la campagna. Una casa popolata, o infestata, da presenze molto inquietanti.
Forse è solo una coincidenza ma negli stessi giorni sono tornato in una casa dove risiedo periodicamente, alle porte di un paesino, un po’ più distante da Roma. Anche questa casa è disabitata da tempo.
Sono arrivato dopo il tramonto, era finito da poco un temporale, le strade erano deserte e la strada bagnata sembrava luccicare alla luce della luna.
In casa era tutto in ordine, la solita sensazione rassicurante che nulla fosse fuori posto, le stanze pulite e il ticchettio della pendola monotono ma piacevole.
Sono salito al secondo piano, dove si trovano le stanze da letto, perché dovevo sistemare dei vestiti in armadi e comò.
Quando ho aperto un cassetto, è scivolata via una fotografia. L’ho raccolta e osservata. È una di quelle foto che si scattavano un tempo e oggi sembrano macabre o morbose: un morto composto sul suo letto. Conosco quella foto, è stata scattata oltre sessant’anni fa, eppure la fissavo come se la vedessi per la prima volta.
In quel momento ho sentito un suono simile a un gemito, e poi un rumore sordo, sembrava una mano che colpisse una superficie di legno. Provenivano dalla stanza accanto. La luce dei lampadari era fioca, forse c’era stato un abbassamento di corrente per un guasto a qualche centralina, durante il temporale. Ancora quel gemito e quel rumore. Adesso capisco che c’è qualcuno dietro la porta che conduce in soffitta.
La apro e salgo le scale, e lì, a metà dei gradini, ho la certezza di un’altra presenza, reale ma non umana.
Infatti.
In soffitta c’è una finestrella protetta solo da una grata, serve per il ricambio d’aria. Il vento, o il tempo, l’hanno lacerata e un piccione si è infilato in soffitta e adesso vola frastornato, emettendo quel verso che sembra un gemito e battendo le ali sulle travi del tetto. Allargo la grata e quello scappa via subito, scomparendo nel cielo buio.
Scendo al primo piano, immerso nei miei pensieri. Adesso la luce è più vivace e mi accorgo di un bicchiere posato sul tavolo, ci sono ancora due dita di vino rosso come il sangue e la sedia è scostata un poco, come se qualcuno si fosse allontanato in fretta, senza finire di bere e senza accostare la sedia. Eppure, in casa non ho visto nessuno.
Sono perplesso, i rintocchi della pendola sembrano più veloci, come un cuore spaventato.
La pendola! Già, chi l’ha caricata se la casa è disabitata da mesi?
Poi rammento che qualcuno entra a pulirla spesso. Ecco perché non c’è mai un filo di polvere. Qualcuno che si è versato un bicchiere di vino per trovare sollievo, in una pausa del lavoro, ma poi qualcosa l’ha distratto, per esempio l’abitudine di caricare la pendola e ha dimenticato il bicchiere lì, sul tavolo e la sedia scostata.
Scendo a piano terra e mi affaccio sulla soglia delle scale che conducono in cantina: sono simili a grotte, dove si conservava l’olio, il vino e le provviste, un tempo lontano, forse sessant’anni fa, quando fu scattata la foto del padrone di casa addormentato per sempre sul suo letto.
Un altro rumore, un fruscio, poi uno scricchiolio.
Ancora nella stanza accanto. È una cucina e la sedia a dondolo davanti al camino spento si muove ancora. Sfioro il sedile e mi accorgo che è tiepido. Di nuovo la sensazione che qualcuno si sia appena allontanato.
Poi lo sento. Un miagolio, vicino alla porta d’ingresso. Uno dei gatti della via è sgusciato in casa con me, approfittando del buio e si è accoccolato sulla sedia a dondolo. Apro la porta e anche lui fugge nel buio, come il piccione poco prima.
C’è davvero una presenza in questa casa, comunque. Si chiama ricordo, il ricordo di chi ci visse. Un ricordo che è figlio di due genitori, naturalmente. Il padre è il tempo trascorso, come i rintocchi della pendola, la madre è la casa stessa, le sue mura, i pavimenti e i soffitti.
Una piccola esperienza e niente più, in bilico fra razionalità e suggestione: una sera d’inverno, in una casa disabitata, fra un paesino e la campagna.
Resta la consapevolezza che i morti forse non sono mai veramente tali.
Non lo sono in una storia horror dove diventano fantasmi.
E non lo sono nella realtà, perché vivono in quel ricordo che è sempre figlio di un luogo e del tempo trascorso.
§ 2 – Racconta il tuo viaggio con Delos
Scrivere narrativa è viaggiare senza la seccatura dei bagagli, sosteneva Emilio Salgari. Così ho accompagnato il commissario Buonocore nella sua Napoli e in una vacanza forzata in Alto Adige, ho viaggiato nel tempo per seguire la fuga di una donna enigmatica e misteriosa prima, durante e dopo la Seconda Guerra Mondiale, ho diretto lo strano provino di uno scrittore in crisi d’ispirazione a una donna tanto affascinante quanto inquietante, e con la fantasia sono andato anche più lontano. Delos è stato il treno, l’aereo, l’auto che mi hanno permesso di raggiungere tutti questi luoghi senza muovermi dal mio studio.
§ 3 – Racconta cosa prevede il tuo futuro da scrittore (progetti, pubblicazioni e anche sogni e desideri del tuo io scrittore)
Un racconto lungo pubblicato a breve da Delos in ebook, il mio nono romanzo nella storica collana Il Giallo Mondadori, il progetto di un’altra pubblicazione in edicola con una rivista a grande diffusione e soprattutto tante altre storie per spaventare i lettori!
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§ Grazie per il tuo apporto. Canestrini per le tue parole. Buona vita, sempre e comunque per tutto il resto.
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