Pochi veri scrittori sanno impostare un intero romanzo su una ossessione che piano piano impregna ogni momento della giornata, ogni pensiero, ogni sguardo, ogni gesto fino al collasso psichico. Simenon lo sa fare da maestro ne La porta, conducendo gradatamente il lettore alla scoperta degli anfratti e dei segreti della vita di una coppia sposata da vent’anni.
La porta, scritto nel 1962, ha le caratteristiche di un testo drammaturgico alla Ibsen. Si svolge quasi esclusivamente in un modesto appartamento del III Arrondissement, vicino alla celebre Place des Vosges ma gli splendori della grande Parigi sono lontani anni luce. Quello descritto magistralmente è un piccolo mondo di persone comuni, vecchi palazzi e strade dove ci si conosce tutti. Bernard e Nelly sono sposati da venti anni, lei è una bella donna di 38 anni, lui un 43enne a cui la guerra ha portato via le mani. Chi lavora fuori è lei, lui bada alla casa e dipinge abat-jour per passare il tempo: non esce quasi mai e sta bene soltanto fra le mura della casa e gli oggetti che conosce. Si amano, si usano molte premure l’un l’altro e tutto sembra tranquillo fino a quando le elucubrazioni di Bernard sulla vita di sua moglie fuori di casa, sulla vita che ha condotto prima di conoscerlo, lo portano a essere preda di un’infelicità che prima tenta di nascondere, ma poi deflagra in un’ossessione. I vari passaggi interiori sono descritti attraverso dialoghi serratissimi fra i due protagonisti e il racconto delle riflessioni di Bernard. Dalla quotidiana banalità dei gesti e delle situazioni Simenon riesce a restituire al lettore un’atmosfera, sia interiore che esteriore, che culminerà nella scoperta di un segreto. Non si svela il finale, niente affatto scontato.
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