Alcuni critici hanno fatto risalire il giallo addirittura alle tragedie greche, definendo l’Edipo il primo giallo della storia, cosa impossibile da affermare per il noir che è figlio della modernità. Si può, però, partendo dal noir, seguire un filo nero d’Arianna che ci porti camminando a ritroso, a scoprire attraverso quali passaggi si è giunti al noir contemporaneo. Il primo genere che si incontra in questo labirinto nero è l’hard boiled, la scuola dei duri capitanata da Dashiell Hammett e Raymond Chandler, dell’investigatore privato duro e cinico, della femme fatale, degli inseguimenti e delle sparatorie. Ma di questo abbiamo già parlato in un articolo precedente. Seguendo il nostro filo nero arriviamo all’Ottocento, secolo nel quale ci sono svariati fermenti e dove possiamo trovare colui che ha posto le basi per la nascita del noir: Edgard Allan Poe. Padre del ramo giallo, Poe ha creato anche le radici per il nero:
“Sotto la pressione di tali tormenti, quel poco di buono che c’era ancora in me scomparve del tutto. Pensieri malvagi, i più neri e i più malvagi dei pensieri , divennero i miei soli padroni. [...] Afferrata un’ascia, dimenticando, nella mia furia, la paura infantile che aveva sempre trattenuto la mia mano, vibrai all’animale un colpo che, se fosse disceso su di lui come volevo, sarebbe risultato mortale. Ma il colpo venne fermato dalla mano di mia moglie. Il suo intervento mi trascinò in una furia ancora più demoniaca: svincolai il braccio dalla sua stretta e le affondai la scure nel cervello. Ella cadde senza vita sul posto senza emettere un lamento. Compiuto l’orrendo delitto, mi accinsi con grande determinazione al compito di nascondere il corpo”.#[1]
Sono in racconti come Il gatto nero, da cui è tratto questo brano, che Poe mette in luce lo sconvolgimento dell’anima, i pensieri “neri”, gli orrendi delitti; ci troviamo nell’anticamera del noir. Questo è solo uno dei tanti racconti di Poe che riguardano il lato oscuro, i sentimenti di chi commette un delitto, la descrizione minuziosa di particolari macabri. Sono queste delle caratteristiche che molte volte si ritrovano nel noir, soprattutto quella di spostare l’attenzione sul crimine e su chi lo commette piuttosto che seguire le gelide intuizioni del detective. Niente più ragionamenti complicati da parte di un filosofo-investigatore ma i recessi della mente e il suo precipitare in un abisso senza ritorno. Questi racconti di Poe scatenano un fermento nero che ci permette di far passare il nostro filo nero attraverso i testi più vari: così incrociamo i racconti di Guy de Maupassant - racconti come La petite Roque e Denis, dove viene scandagliata la psicologia del criminale - o il romanzo l’Isola del tesoro di Robert Louis Stevenson dove si riscontra “uno stato di terrore impotente”#[2]. Ma l’Ottocento è anche il secolo della nascita delle metropoli, del sentimento d’impotenza di fronte al progresso: la metropoli ottocentesca diventa il topos, il luogo letterario dove si compie la tragedia della modernità. Così il filo nero d’Arianna attraversa i vari romanzi feuilleton di impianto sociale, il ciclo dei “misteri”#[3], come li chiama Luca Crovi, avviati da Le Mystères de Paris (1843-44) di Eugène Sue, proseguiti da Dumas, Sand, dall’italiano Mastriani, cicli nei quali vengono investigati gli intrighi e il torbido delle città. E seguendo il filo passiamo attraverso i grandi affreschi sociali di Zola, dove i personaggi sono uomini e donne in continua discesa nell’abisso, cui il destino non ha concesso alcuna possibilità di riscatto. Siamo nel secolo in cui si afferma la cronaca nera, il secolo che ci ha consegnato il più famoso serial-killer della storia: Jack the Ripper. Il secolo del lancinante senso d’impotenza e di noia consacrato da poeti come Rimbaud e Boudelaire.
Ma rotolando il filo sulla nostra matassa nera arriviamo ai Gothic Tales, quei romanzi gotici chiamati in Italia anche romanzi neri, definizione che ha creato non poca confusione fra nero e noir. Siamo negli anni fra il 1760 e il 1820: in questo arco di tempo troviamo dei testi accomunati da “una certa enfasi nel descrivere il terrificante, una frequente insistenza sulle ambientazioni arcaiche, un uso cospicuo del soprannaturale, la presenza di personaggi stereotipati e il tentativo di dispiegare e perfezionare le tecniche di suspense letterarie”#[4]. Alcune di queste caratteristiche, come la ricerca della suspense, le atmosfere cupe, il mistero e il colore nero predominante, possono essere state tenute presenti da autori come Poe per creare i loro racconti “neri”. Vediamo alcune di queste caratteristiche nel testo, pubblicato nel 1820 da Charles Robert Maturin, Melmoth, l’uomo errante. Il protagonista, Melmoth, sta scappando dal convento dov’è prigioniero con un fido compagno. Ad aspettarlo, al di là dal muro di recinzione, c’è il fratello che non vede da quando era bambino:
“Alonzo, caro Alonzo!", mormorò una voce.
"Juan, caro Juan", e non riuscii a dire altro perché il mio petto intirizzito era stretto a quello del più caro e generoso dei fratelli.
"Quanto devi aver sofferto! Quanto ho sofferto!", sussurrò. "In queste ultime ventiquattr’ore ti avevo dato quasi per perso. Svelto! La carrozza è qui a meno di venti passi."
Mentre parlava, una lanterna mi rivelò i bei tratti imperiosi che da ragazzo avevo temuto come simbolo di insanabile rivalità, e che ora ammiravo come il sorriso della fiera divinità benigna della mia liberazione.
Additai il mio compagno: non riuscivo a parlare, la fame mi rodeva i visceri. Juan mi sostenne, mi confortò, mi rincuorò; fece tutto ciò che un uomo può fare per un altro uomo, anzi, di più: tutto ciò che un uomo farebbe per la più schiva e delicata creatura dell’altro sesso affidata alla sua protezione. Oh, con che angoscia ricordo la sua virile tenerezza! Aspettammo il mio compagno che scendeva dal muro.
"Presto, presto", sussurrò Juan, "anch’io sono affamato. Non mangio un boccone da due giorni."
Ci affrettammo. Era un luogo deserto. Riuscii appena a distinguere una carrozza illuminata da una lanterna fioca fioca: ma bastava. Vi saltai dentro con un balzo leggero.
"E’ al sicuro!", gridò Juan, seguendomi.
"Ma tu?", echeggiò una voce di tuono.
Juan indietreggiò barcollando dal predellino della carrozza, e cadde. Saltai giù, caddi anch’io, sopra il suo corpo. Ero inzuppato del suo sangue...Juan era morto.”#[5]
Un omicidio dalle tinte fosche, perpetrato nell’oscurità della notte dal compagno di fuga, apparentemente senza alcuna ragione. Violenza contro chi si fida: Dante gli avrebbe destinato la parte più nera dell’inferno. Strano caso questo del libro di Maturin che, considerato il grado massimo del romanzo gotico, giunge però nel momento in cui il genere è ormai scaduto nell’ovvietà e nel facile mestiere. Un romanzo talmente complesso, “che per la sua sottigliezza di penetrazione nei terrori dell’anima già annunzia Poe”#[6]. Ma non solo Poe verrà influenzato da Maturin, ma l’autore di Melmouth verrà amato anche da scrittori come Scott, Stevenson, Baudelaire fino a un personaggio che è un caposaldo della letteratura gialla: Arthur Conan Doyle. Sicuramente con Maturin siamo lontani dal noir; però, si può affermare che nel 1820 qualcosa si sta già muovendo. Anzi, possiamo affermare che già da qualche anno qualcosa si stava muovendo, visto che due anni prima, nel 1818 viene pubblicato il più famoso romanzo gotico: Frankenstein di Mary Shelley. Altro strano caso in cui il personaggio diventa più famoso del suo autore. In Frankenstein compare già la visione nera del mondo, la solitudine dell’uomo, l’emarginazione del “diverso”:
“Aspettavo quest’accoglienza", disse il demone, "tutti gli uomini odiano i disgraziati; quanto allora devo essere odiato io, che sono ben più miserabile di ogni cosa vivente! [...] Come posso commuoverti? Nessuna preghiera ti indurrà a rivolgere uno sguardo benevolo verso la tua creatura, che implora la tua bontà e comprensione? Credimi Frankenstein: io ero caritatevole; il mio animo ardeva di amore e umanità; ma non sono io solo, miserabilmente solo? Tu, il mio creatore, mi detesti; quale speranza posso raccogliere dai tuoi esseri umani che non mi devono niente? Loro mi disprezzano e mi odiano. [...] Saluto questi cieli desolati perchè con me sono più gentili dei tuoi esseri umani.”#[7]
Ormai la nostra matassa nera è diventata già troppo pesante e c’è il rischio di trovare tracce di nero dappertutto, invece non bisogna dimenticare che il noir nasce nel Novecento, figlio della modernità come spesso si è detto. Questo nostro percorrere il labirinto nero a ritroso è stato utile per vedere attraverso quali sentieri, aggirando quali angoli si è giunti al noir come lo intendiamo oggi, passando attraverso generi che assolutamente non sono da definire noir.
#[1] Edgard Allan Poe, Il gatto nero in Tutti i racconti, le poesie e Gordon Pym, Roma, Newton Compton Editore, 1992, pp. 25-31.
#[2] Fernanda Pivano, Alle origini del noir, in I colori del Nero, a cura di Marina Fabbri e Elisa Resegotto, Milano, Ubulibri, 1989, pag. 33.
#[3] Luca Crovi, Tutti i colori del giallo, Marsilio, Venezia, 2002, p. 25.
#[4] D. Punter, The Literature of Terror. A History of Gothic Fictions from 1765 to the Present Day, Londra, Longman, 1980 (trad. It. Storia della letteratura del terrore. Il “gotico” dal Settecento a oggi, a cura di Ottavio Fatica, Roma, Editori Riuniti, 1980).
#[5] Charles Robert Maturin, Melmoth l’uomo errante, in I grandi romanzi gotici, a cura di Riccardo Reim, Roma, Newton Compton Editore, 1993, pp.848-849.
#[6] M. Praz, La letteratura inglese, Vol. I, Dal Medioevo all’Illuminismo, nuova edizione aggiornata, Firenze-Milano, Sansoni/Accademia, 1967.
#[7] Mary Shelley, Frankenstein, in I grandi romanzi gotici, op. cit., pp. 648-649.
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