Dove sei quando scrivi? Sia fisicamente che mentalmente.
Lavoro nel mio studio a Parma o in campagna. Solo lì, giacché lì mi è possibile isolarmi. Scrivo "quando mi viene". Perciò anche di notte. Se ho una storia in testa scrivo anche in treno sul lap-top.
Come scegli le tue vittime, e i tuoi assassini?
Non li scelgo. Mi appaiono dalla cronaca, da circostanze note (non necessariamente da omicidi reali), da ispirazioni momentanee. Ho sempre in tasca dei cartoncini e una biro. Quando mi viene un'idea o osservo un fatto, me lo appunto immediatamente.
Qual è il tuo modus operandi?
Non capisco la domanda. Comunque, tento di rispondere: non parto con una trama definita, con una scaletta. Scrivo sull'indicazione del momento e poi strada facendo invento. Così scrivo e mi diverto, giacché scopro gradualmente tutto l'intreccio, i colpevoli, i non colpevoli (cui dedico in genere molta attenzione). Quindi, vado avanti finché la storia non si compie nella mia testa e nella carta. Lavoro al computer.
Chi sono i tuoi complici?
Non ho complici, da qualche tempo. Sono un killer solitario. Il destino li ha tolti da questo mondo i miei complici. Prima erano un compagno di scuola (media, liceo, università) e Maria Serena Palieri, giornalista della pagina culturale de L’Unità.
Che rapporti hai con i tuoi lettori e le tue lettrici? Avanti, parla!
Quanto alle elettrici, mi appello all’11° emendamento. Alla mia età potrei rinunciare allo scudo costituzionale. Però, non si sa mai, non vi rinuncio. Sono ossessionato da lettori che scrivono e mandano loro opere. Impossibile occuparmene.
Che messaggio vuoi dare con le tue opere?
Nessuno. Non ho tesi precostituite, né ideologie. Siamo in una stagione aideologica. Voglio raccontare e, possibilmente, divertire. Punto.
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