Texas è il Piemonte: colline, strade fosche e neve a imbiancare una nuova alba sul domani (retorica? funziona così) e Texas è quanto di più sognato e reale ci possa essere ai margini di qualunque sponda popolata da abitanti variamente sconsolati che molti, troppi, hanno raccontato sino a tramutarla in materia abusata.
Periferia che vuole raccontare a modo suo, Fausto Paravidino (autore e attore di teatro e ora, sulla soglia dei trent’anni, passato anche alla macchina da presa) artista ambizioso e volonteroso che desidera palesare le lezioni assimilate di chi, questi luoghi ai bordi, li narrò con assoluta e difficilmente superabile, schietta poesia. Si pensi a Pasolini e ai suoi pochi fratelli di sensibilità.
Tre sabati in flashback a presentare gioventù il cui unico sfogo è il centro commerciale o il pub e che anela sempre a qualcos’altro: la promozione che riscatti grigie giornate alla cassa, piccole e grandi meschinerie e segreti indicibili tra vicini, esistenze spente in cerca di rivalsa dalla vita che, ingrata, elargisce amari momenti: uno stupro, un cazzotto, una pallottola.
C’è anche lo scompiglio della bella maestra (Valeria Golino) che manda all’aria un matrimonio per vivere la passione col giovane belloccio e ribelle (Riccardo Scamarcio).
Storia presto fatta e attenta anche all’altra lezione: quella di Altman.
Intrecci e sottostorie per tirarne le fila e rendere visibile il quadro generale.
L’inizio è scoraggiante: montaggio ossessivo e ripetizione di tormentoni che stancano senza riempire i tempi morti, sostenuti da alcuni personaggi al limite della macchietta.
Si riprende con la parte centrale/finale che respira sulle facce di caratterizzazioni abbozzate ma efficaci: il candidato fascistoide urlatore su tutti e qualche ottima scena azzeccata: le partite a carte al bar, il duello e primi piani su volti giustamente drammatici e toccanti.
Ma il risultato è altalenante: padronanza e grinta non sono gli unici ingredienti per la riuscita completa di un impasto di celluloide.
Paravidino ci sa fare ma deve impegnarsi di più e dimenticare se stesso.
Rimandato a settembre. Una volta si diceva così.
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