Dove sei quando scrivi? Sia fisicamente che mentalmente
Sia fisicamente che con la testa sono sempre nel mio studio, di fronte a un computer fisso. A volte per ore, altre per un quarto d'ora. Dipende da cosa riesce a frullarmi nella mente. Se vedo che c'è scarso movimento di neuroni, me la squaglio.
Come scegli le tue vittime, e i tuoi assassini?
Né vittime né assassini. Ci sono persone che nuocciono alla mia cistifellea perché hanno pubblicato fandonie e ipotesi strampalate su Salgari, inseguendo revisionismi, senza prove né documentazione, di cui non indago le ragioni anche se penso di conoscerle. Inutile polemizzare.. Ma non li faccio defungere. Anzi, non le nomino nemmeno, se possibile. Mi basta confutarle con prove e documenti e chi vuole capire è sempre benvenuto.
Qual è il tuo modus operandi?
Molto semplice. Compio ricerche dettagliate in ogni dove. In Italia e altrove, quando occorre. Riscopro persone che hanno contato nella vita e nell'opera di Salgari, anche facendo salti mortali, anche per anni. Desidero che tutto ciò che scrivo sia a prova di bomba, nei limiti del possibile. Mi muovo. A tavolino si combina poco. Vado a trovare eredi e testimoni, se esistono. Vado in biblioteche e uffici anagrafici. Rompo un po' le scatole a tutti, francamente. Quando ogni i tassello è a posto, affogo nei miei archivi e comincio a scrivere. Se si tratta invece di ricerche sulle opere anziché sulla vita, divento archeologo della carta: cerco le fonti originali, che non si possano mettere in dubbio, tanto più che Salgari, per premura, a volte usava il copia-incolla, per così dire. Cerco anche circostanze ignorate. Ho appurato, ad esempio, tra le mille cose nuove (ma sono da decenni al fronte!) che Salgari è stato il primo autore italiano a scrivere sul delitto nella camera chiusa (complice Poe) e il primo autore italiano a scrivere avventure fantastiche di Buffalo Bill. Ho anche scoperto alcuni suoi pseudonimi sconosciuti e di conseguenza sue opere minori altrettanto sconosciute. E via dicendo. Tantissime scoperte, tanta fatica ma altrettanta soddisfazione.
Chi sono i tuoi complici?
Il mio complice principale è lo stesso Salgari. L'ho conosciuto giovanissimo, l'ho "frequentato" praticamente per sessant'anni, credo di sapere come si muoveva. È troppo dire come e cosa pensava? A volte trovo certe cose con troppa facilità: secondo me una buona mano me la fornisce lui stesso.
Che rapporti hai con i tuoi lettori e le tue lettrici? Avanti, parla!
È un rapporto improntato sulla correttezza e spesso si trasforma in amicizia. Al di là delle immancabili invidie di mestiere, chi mi legge è perché sa che non baro, non invento nulla, non meno il cane per l'aia. Nei miei libri non esistono tempi morti, le notizie si succedono con ritmo sempre alto. In compenso uso una scrittura scorrevole, adatta a tutti, e creata faticosamente con il tempo. La mia soddisfazione maggiore è quando – e non sono pochi – mi dicono che anziché saggistica o divulgazione è come avessero letto un libro di avventure. Ed è proprio ciò che desidero, perché se costringessi qualcuno a leggere lo stesso brano più di una volta per capirci qualcosa, lo considererei un fallimento.
Che messaggio vuoi dare con le tue opere?
Mi interessa soltanto scoprire e divulgare quanto più possibile su colui che ha creato il genere avventuroso in Italia ed è diventato, da vivo e soprattutto da morto, un autentico fenomeno nazionale, cambiando la vita di moltissime persone, arricchendole in ogni modo, persino nel conto corrente bancario. Per morire in miseria e togliersi la vita. Sono persuaso che meriti attenzione. E ci sono ancora molte cose da fare, molte zone d'ombra dove fare luce.
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