“In Slovenia, il genere poliziesco e criminale prende avvio negli anni Ottanta, fino ad allora era un settore narrativo quanto mai trascurato” scrive Patrizia Raveggi nella postfazione a un giallo sloveno da lei tradotto per l’editore Ronzani. Si tratta di “Dove nuotano i pesci gatto” di Tadej Golob, creatore del personaggio di Taras Birsa, investigatore capo delle sezione crimini di sangue e reati sessuali della Polizia di Lubiana.
Subito dopo – ”Dove nuotano i pesci gatto”, titolo originale ”Jezero” del 2016, è il primo della serie – seguiranno “Leninov Park” (2018), “Dolina rož” (2019) e “Virus” (2020). In Italia comunque non è il primo giallista sloveno tradotto. Robin editore ha pubblicato un paio di gialli del triestino di lingua slovena Sergej Verč, a pieno titolo appartenente alla letteratura slovena, così come gli scrittori della minoranza italiana in Istria e a Fiume appartengono alla letteratura italiana. Altri, da Tomo Rebolj, scomparso un paio di anni fa, ad Aaron Kronski, Maia Novak e Avgust Demšar attendono di essere tradotti e letti dal pubblico italiano. Scrive ancora a riguardo Patrizia Raveggi: “Grazie al grande numero di crime&detective stories (kriminalke in sloveno) di buona qualità, finalmente anche in Slovenia il racconto poliziesco, dominio quasi incontrastato della narrativa straniera, si è fatto autoctono; inoltre, autori affermati nel campo della ‘letteratura alta’ si sono dati alla scrittura di kriminalke.”
Intanto, sempre l’editore Ronzani, annuncia la pubblicazione per il prossimo anno del secondo romanzo con protagonista Taras Birsa, ovvero “Leninov Park”.
Ma com’è questo Taras Birsa? Intanto, partiamo dal nome, per cui già al primo capitolo del libro – siamo aUkanc, Alta Carniola, dove il poliziotto è in vacanza – una signora resta stupita da esso. “Taras?” dice “Sì, giusto, anche Taras come nome è un po’ bizzarro, però di Taras ne conosco qualcuno. Taras Bul’ba l’ho visto al cinema, quello coi baffoni, e… qualche altro, ma uno che fa il poliziotto…”. E già questo aiuta a fissarlo nella memoria. E’ impossibile non leggere Taras Birsa senza pensare al personaggio di Gogol, anche se il Taras di Golob è l’esatto opposto. Racconta Golob: ”Quando ho iniziato a scrivere Jezero avevo appena avuto la fortuna di perdere la maggior parte della mia unica fonte di introito e non sapevo come avremmo fatto a sopravvivere al 2016. Questo mi causò problemi di stomaco, una grave gastrite. E così mi sono ricordato che potevo attribuire al mio eroe una specie di allergia all’alcol invece che farne un alcolizzato”.
In “Dove nuotano i pesci gatto” lo incontriamo l’ultimo giorno dell’anno in vacanza al termine di una giornata di sci sul Vogel in compagnia della bellissima moglie Alenka, intenzionati a festeggiare nella loro casetta sull’Alta Carniola l’anno nuovo. Il lavoro, pertanto, è l’ultimo dei suoi pensieri. Ma accade che, lungo la strada del ritorno, arrivati sul lago di Bohini, s’imbattono in una macchina della polizia con due agenti, chiamati da una passante che, inseguendo il suo cane, ha visto impigliato tra pezzi di ghiaccio e rami quello che credeva un manichino e invece era il cadavere decapitato di una donna nuda. Taras, naturalmente si ferma per capire cosa sia successo, si qualifica ai due agenti, raccogliendo, per il suo grado, la loro piena disponibilità. Si affanna pertanto ad aiutarli nel recuperare il corpo, anche per aver notato una certa inesperienza dei giovani agenti (“due apprendisti! Cos’è questa storia? Ora vi mandano fuori da soli sul campo, è cosi?”). Subito dopo, però, è intenzionato ad andarsene, ma quei due giovani agenti inesperti non sono lì per caso in servizio: quelli più anziani hanno pensato bene, di andare, come ha giàfatto Taras, in vacanza, eil cerino è rimasto in mano a loro. Così, da un non breve scambio di battute tramite la radiotrasmittente di servizio con la vicina stazione di polizia apprende che non c’è nessuna squadra investigativa in giro e che toccherà a lui, Taras Biesa, svolgere le indagini su quel cadavere della sconosciuta ammazzata, resa ancora più tale per il fatto di essere senza testa.
Inizia così un’indagine che – con la partecipazione a tratti conflittuale con la psicologa Tina Lanc, che lo raggiungerà – si protrarrà per ben quasi 500 pagine, ricche di dettagli che, se in parte aiutano a entrare nel merito propriamente tecnico delle indagini stesse, dall’altra contribuiscono a sviare l’attenzione, anche se talvolta a scapito della tensione o suspense che si voglia. C’è come l’impressione che l’autore si sia fatto prendere troppo la mano dalla storia stessa, perdendo di vista quel ritmoun po’ incalzante necessario in un giallo, al netto naturalmente della lettura piacevole che tuttavia resta.
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