Una cosa è certa: dopo aver letto “La stazione”, romanzo di esordio di Jacopo De Michelis, edito da Giunti, non si entrerà più nella stazione ferroviaria di Milano Centrale, dove il romanzo è ambientato – ma credo neppure in altre mega stazioni – con la stessa tranquillità d’animo con cui lo abbiamo sempre fatto. Ciò che rimane nel lettore alla fine delle 870 pagine che lo compongono è la sensazione di aver accompagnato i due protagonisti, Riccardo Mezzanotte, ispettore della Polfer, settore operativo di Milano Centrale, e Laura Cordero, figlia di un ricco imprenditore farmaceutico con ambizioni da crocerossina, volontaria presso il Centro di ascolto allestito alla stazione per tossici e vagabondi, in un’esperienza dantesca, non solo in ragione dell’inferno che la stazione con i suoi multipiani di mondi, autentici gironi e bolgie, rappresenta, ma anche per la capacità dell’autore di trascenderli, sublimandoli in qualcosa di ultraterreno.
Dei due, Riccardo, anzi Cardo, com’è chiamato, e Laura il vero protagonista, è il poliziotto, che ricorda molto, per tipologia, Hieronymus “Harry” Bosch, cioè un uomo di legge integerrimo, votato alla giustizia, per la quale non esita ad affrontare le strade più scomode, fino a mettere in pericolo se stesso (è quello che gli è accaduto, denunciando suoi colleghi corrotti, che lo trattano da infame, e pestando i piedi anche a parecchi superiori che lo hanno ripagato spedendolo dalla Omicidi alla meno nobile Polfer).
L’intero impianto narrativo è basato sulle sue avventure, che cominciano con un’azione di ordine pubblico in seguito all’arrivo a Milano di una massa di tifosi romanisti in occasione dell’incontro serale di Inter-Roma e proseguono in una serie di crudeli omicidi di animali, topi, gatti, cani in un crescendo di cadaveri squartati che avrebbero coinvolto via via addirittura bambini, se non ci fosse l’ostinazione investigativa di Riccardo. Ostinazione, per altro, presa sottogamba se non addirittura osteggiata, dal suo capo, il commissario Dalmasso, per il quale non valeva neppure la pena di occuparsi di animali morti, visti i tanti piccoli e grandi reati – furti, rapine, scippi, droga, stupri, violenze di ogni genere – che capitano in quell’autentico microcosmo che è Milano Centrale.
Costruita nel 1931, ma il primo progetto risalente già al 1912, e soprannominata dal suo architetto Ulisse Stacchini una “cattedrale in movimento”, con i suoi tanti stili che le danno una cifra architettonica complessa da farne un esempio unico nel suo genere, è strutturata su tre piani, ciascuno dei quali con tanti di quegli ambienti che sconfinano quasi nell’infinito, trapassando luoghi e tempi, così da estendersi oltre il proprio perimetro fisico. Ed è questa intuizione che, un po’ alla volta, per affondi continui, dà originalità al romanzo, la cui proiezione estremamente realista, con i suoi tanti personaggi, dai barboni ai drogati, dagli informatori della polizia ai corrotti, dal buio cupo dell’abiezione nei suoi meandri alla luce della solidarietà, si dipana nella magia con l’evocazione di un passato storico che risveglia – in una sorta di terza dimensione – i fantasmi della deportazione degli ebrei milanesi nei campi di sterminio nazisti. E questo trapasso metafisco, visionario, si incarna in Laura Cordero, fondamentale deuteragonista, i cui occhi soltanto vedono due bambini che girano, solitari e incontrollati per la stazione, e sui quali si ostina in una ricerca che la porterà nella Storia e in altri gironi danteschi, dove s’incontrerà con Riccardo Mezzanotte, per dare insieme avvio, nel ludibrio degli altri, alla scoperta di una realtà nascosta ma non meno vera di quella che vedono gli altri. A lei, a Laura, bellissima creatura, il ruolo di Beatrice, la cui lunga messa in pericolo, nei tanti giorni della sua scomparsa, permetterà a Riccardo di scardinare le ultime resistenze nel suo bisogno di verità e giustizia.
Naturalmente, tutto ciò non può che portare alla catarsi dei due protagonisti, la cui esperienza ha il valore di un viaggio dentro se stessi, grazie al quale si sbarazzeranno delle menzogne che li circondano, per cui le verità che scopriranno li aiuterà a scoprire come valori quali l’amore e l’amicizia, financo quelli ritenuti più consolidati e sicuri, siano sempre stati, fino ad allora, traditi. Una scoperta che varrà soprattutto per Riccardo, legato al ricordo del padre, poliziotto a sua volta, ammirato per le sue tante imprese che riportano alla memoria i maggiori criminali del dopoguerra che lui aveva fatto arrestare e che, per questo, è morto ammazzato. Ma è solo un dettaglio, seppur importante, dei tanti che la stazione, in questo caso intesa come il romanzo “La stazione”, con i suoi gironi interni, sviscera attraverso le sue tante avvincenti pagine che raccontano la coscienza inquieta dell’umanità , compresa quella del lettore che, appunto, pagina dopo pagina, vi si immerge.
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