Romanzo criminale ricostruisce l’ascesa e la caduta della tristemente famosa Banda della Magliana…

 

Romanzo Criminale, ovvero l’eterno ritorno di chi, bambino una volta, bambino è rimasto, cosicché, quando la morte chiama, non può non ritornare nel luogo che non ha mai abbandonato.

Importa un fischio che tra l’oggi e l’altro ieri quelli della Banda della Magliana, Libanese (per via dell’hashish), Dandi (dandy, fighetto?) e Il Freddo (introverso assai…) nel frattempo si fossero allargati a macchia d’olio fino a mettere le mani su tutto quello che a Roma, a cavallo tra gli anni ’70 e ’80, poteva produrre un profitto illegale.

Importa un fischio dicevo, perché questo Romanzo Criminale è tutto fuorché l’affresco di un periodo delinquenziale o il ritratto di una generazione nata dal nulla e che al nulla torna. Ancora meglio: vorrebbe esserlo, ma c’è qualcosa che latita, che manca, forse la distanza sufficiente per non correre il rischio di idolatrare il terzetto Stuart-Favino-Santamaria (più Accorsi che con il Dandi/Santamaria divide la stessa squinzia). Ne deriva una catena di sequestri, omicidi, sniffate puntualmente incapace di imporsi realmente restando confinata in uno standard medio che strizza ovviamente l’occhio a Quei bravi ragazzi di Scorsese ma che quanto a risultati raggiunge quelli di Sleepers (certo non un granché…) con l’aggravante di cui si diceva, la perniciosa impressione di vedere soggetti mai cresciuti che continuano a giocare a guardie e ladri come facevano da bambini.

 

Già, perché alla fine sempre all’infanzia si torna; il Libanese, il Dandi, il Freddo, tutti tornati là da dove erano partiti, tutti sulla spiaggia di Ostia in fuga dai poliziotti che danno loro la caccia, espediente che suona un po’ assolutorio, un po’ retorico, un po’ “non so bene come chiudere ‘sta storia”.

Altra cosa: mai montare una dopo l’altra due scene d’amore.